Il fascino (non) discreto di Telecom sui governi

agosto 20, 2016


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Da cosa viene il “fascino (non) discreto” di Telecom per i governi? Con le aziende privatizzate, sia completamente – autostrade, aeroporti – sia parzialmente – Enel, Eni – i problemi sono di regolamentazione e di prezzi. Finmeccanica agisce nel quadro delle norme in un settore delicato come la difesa. Di banche e di acciaio, non ci fossero i crediti deteriorati e i problemi ambientali, il governo farebbe volentieri a meno di occuparsi. Anche nella telefonia, sono autorità indipendenti a stabilire tariffe, e a vigilare sulla concorrenza. Solo per Telecom le cose sono diverse: come se i governi, tutti i governi a partire da quello Prodi che ne decise la vendita nel 1998, non sappiano adattarsi all’idea di non controllarla più. Comportandosi come se non fosse mai stata veramente venduta, finiscono per dar ragione a quanti considerano quella di Telecom una pessima privatizzazione.

E’ così fin dal primo giro. E sì che l’operazione è pianificata secondo i sacri crismi: limite del 3% al possesso azionario, un nocciolino duro intorno al (pur riluttante) Giovanni Agnelli, la presidenza al profeta della public company, Guido Rossi. Eppure quando ai primi dissidi Rossi si dimette, in Senato la Sinistra democratica sostiene che spetta al Tesoro scegliere con chi sostituirlo. Secondo giro, l’OPA di Roberto Colaninno, un’operazione interamente di mercato: eppure le discussioni su quanto decide Massimo D’Alema, e cioè che il Tesoro non deve ostacolarla, non si sono sopite ancora adesso. Finisce che un avviso di garanzia – su una questione poi archiviata – scatena gli eventi che mettono fine all’avventura dell’outsider. Terzo giro, la palla passa di nuovo il nuovo al Gotha dell’imprenditoria italiana, sotto la guida di Marco Tronchetti Provera. La sua proposta di un’alleanza societaria con AT&T viene bocciata dal governo, che poi fa calare il gelo su quella con Rupert Murdoch; per contro da Palazzo Chigi filtra un “Indirizzo industriale e considerazioni economico finanziarie”, noto come “piano Rovati”. Tronchetti capisce qual è il gioco, e passa la mano. Quarto giro: in Telco, i grossi calibri della finanza a far da guardia al 23% di Telefònica. A suonare la campanella del quinto giro è l’Antitrust brasiliana: Telco viene scissa e Vivendi, tra la quota girata da Telefònica, e i successivi acquisti sul mercato, diventa azionista di riferimento con il 24% del capitale. E Telecom cambia nome in TIM.

Ma non cambiano le abitudini: il “fascino” di Telecom seduce anche il governo Renzi. Telecom investirà 12 mld in 3 anni (3,6 nella banda ultralarga fissa), ma il governo vuole arrivare prima. La tecnologia consente di far passare 300 Mega sul rame, e fino a 10 Giga col mobile 5G, ma il governo vuole la fibra in ogni appartamento. In molte zone non esiste la domanda che giustifichi l’investimento, ma il governo stanzia risorse (prima 6, poi 1,5 miliardi) per compensarla. Spinge sulla solita CDP e sulla sua F2i, vorrebbe far leva sulla minuscola Metroweb; infine, ipotizzando sinergie su cui lo stesso operatore invita alla prudenza, l’Enel decide la costruzione di una rete in fibra, col rischio che il costo ricada sugli utenti elettrici. Per intestarsi un risultato di grande visibilità, e guadagnare consensi, il governo “sceglie il vincitore”.

La fibra va nei cunicoli, per volare alto ci vuole la strategia. Un conto è risolvere il problema di Rovati, altro controllare gli assetti futuri del nostro capitalismo. Integrare la trasmissione di contenuti (Telecom) con la loro produzione era per Vivendi la razionalizzazione ex post di una partecipazione pervenuta in modo fortuito; aumentarla successivamente investendo altri 2 mld di soldi veri è una scelta strategica. Se di contenuti si tratta, in Italia, esclusa la RAI, prima o poi si finisce per intersecare la traiettoria di Mediaset. Oggi che l’antiberlusconismo, proprio per merito di Renzi, non è più una categoria della politica e agita il sonno solo più ad alcuni veterani, che c’entra la politica? E una convergenza tra TIM e Orange – ammesso che in un domani si rivelasse vantaggiosa per azionisti e consumatori – come potrebbe essere un ostacolo tra Paesi i cui leader si incontrano a Ventotene per rilanciare il progetto di una “ever closer union”?

Il “fascino” è contagioso: da Telecom a Bollorè, Mediobanca, Generali, Axa. Nemmeno nei salotti buoni, quando c’erano ancora e contavano ancora qualche cosa, si facevano voli così arditi. L’agenda del capo di governo è già densa. La realtà è complicata: che fatica per mettere insieme le risorse atte a risolvere il problema degli NPL al Montepaschi! E l’opinione pubblica è “indiscreta”: capace perfino di dar credito a una leggenda, che la nomina del nuovo amministratore delegato di TIM non sia stata preceduta da una “telefonata di prammatica” a Palazzo Chigi, che l’abbia preso come uno sgarbo istituzionale.

*in corsivo le parole tagliate.

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