Giudicare il passato ma non in tribunale

ottobre 19, 2013


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di Piero Ostellino

Per battere il negazionismo basta il buonsenso, non serve una legge

La bulimia legislativa del nostro Parlamento – figlia di una cultura «buonista», formalmente collettivista e sostanzialmente illiberale della classe politica – ha prodotto un’altra legge priva di senso. La Commissione giustizia del Senato ha licenziato un testo che prevede la condanna da uno a cinque anni «a chiunque nega l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio contro l’umanità». Diciamola, allora, tutta: chi andasse in giro a negare quello che hanno fatto Pol Pot in Cambogia e Stalin in Urss, in nome di un’idea personale e criminale di egualitarismo; l’uccisione di preti, suore e di gente comune, da una parte e dall’altra, durante la guerra civile spagnola, passerebbe per matto.

Ma chi nega l’Olocausto, come prova di antisemitismo non è matto; è un farabutto. I «fatti storici» sono comprovati dalla teoria empirica della conoscenza – per dirla con Popper, sono verificabili, se veri o falsi, alla prova della realtà – e passibili di giudizio storico e/o morale. La loro negazione – se non è un caso di follia – è il prodotto di una teoria filosofica (ideologica) della conoscenza che la Scienza politica condanna come metodologicamente improponibile. Già nel Cinquecento, Machiavelli aveva scritto: «Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che all?immaginazione di essa (…) colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare impara piuttosto la ruina che la preservazione sua; perché un uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni». Mi rendo conto che pretendere che i nostri politici conoscano Machiavelli, Popper e la differenza fra teoria empirica e teoria filosofica (ideologica) della conoscenza, e fra giudizio storico e giudizio morale, sarebbe troppo. Ma a me pare anche francamente troppo che essi vogliano giuridicizzare la teoria empirica della conoscenza e, in sovrappiù, il giudizio storico e morale, conferendo all’una e all’altro una sanzione «di legge» e condannando quella filosofica (ideologica) e l’indifferentismo storico e morale. L’una e l’altra sono oggetto di insegnamento all’università e il giudizio, direbbe Kant, attiene alla Ragione pratica; di certo non dovrebbero essere di pertinenza del Parlamento. Che, in tal modo, finisce col perseguire, come reato, un’opinione, per quanto estranea essa sia alla realtà. L’Olocausto è stato una delle più grandi e atroci barbarie perpetrate dall’uomo. Di fronte allo sterminio nazista degli ebrei, provo un dolore personale come se fra le vittime ci fossero i miei nonni o i miei genitori; mi indigno, e mi commuovo fino alle lacrime, alla vista dei carri ferroviari, destinati ai campi di sterminio, gremiti di donne, uomini, vecchi, bambini, e vuoti al ritorno, nei film sull’Olocausto. Ho ribrezzo, morale e politico, per ogni forma di genocidio, in nome dell’idea di Umanità, non (solo) perché sono antifascista. Ma avrei preferito rimanesse un moto spontaneo, personale e collettivo. E non diventasse prescrizione di legge.

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