Geronzi, le banche e i poveri azionisti

settembre 27, 2010


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di Alessandro Penati

CARO presidente Geronzi,
le scrivo per esprimerle pubblicamente la mia gratitudine e ammirazione per l’intervista concessa a questo giornale, che oserei definire memorabile. Ma, d’altra parte, a questi exploit, dovremmo essere abituati: altrettanto memorabile fu quella rilasciata al Sole-24 Ore nell’agosto 2008. Sono memorabili perché attribuiscono un significato pratico e preciso a concetti astratti: sono veri contributi epistemologici che ci rivelano il vero volto di una realtà che ci circonda, ma della quale siamo inconsapevoli testimoni.

Memorabile, dicevo, fu la Sua intervista al Sole, da presidente di Mediobanca, nella quale definiva «un passaggio legislativo pericoloso» il Regolamento Consob sulle parti correlate allora in discussione, in quanto «pericoloso» per gli interessi di Mediobanca. Precisava infatti: «Noi abbiamo 1200 parti correlate. E tutte le operazioni che le riguarderebbero dovrebbero essere decise da amministratori indipendenti? Andiamo!». Il vero capolavoro è in quell’esclamativo finale, in quell’«Andiamo!» così perentorio da zittire perfino il direttore del quotidiano confindustriale e da spazzare via ogni possibile dubbio o equivoco dalla mente del lettore su come funzioni il Paese. E memorabile è la Sua recente intervista con Repubblica, quando afferma: «La verità è che io, insieme a lui (Profumo, ndr ), ho fatto la più bella operazione del sistema bancario italiano di questi anni, e cioè la fusione tra Unicredit e Capitalia. Un’ operazione straordinaria non solo per me e per lui, ma per il Paese». Le chiedo scusa a nome dei cittadini di questo Paese che ancora non hanno capito quanto Lei ha fatto per loro. Li perdoni presidente, in tema di finanza sono un po’ duri di comprendonio, zoticoni che si fanno rifilare bond Parmalat e Cirio (tanto per citare nomi a Lei familiari), e bisogna avere pazienza. Nell’attesa del giusto riconoscimento del Paese, si dovrà provvedere affinché venga corretto l’ ingiustificato, quanto profondo, disappunto degli azionisti di Unicredit per «la più bella operazione del sistema bancario», l’ acquisto di Capitalia, che gli ha fatto sborsare una cifra (17,6 miliardi) oggi equivalente a metà del valore di tutta Unicredit; con un tempismo perfetto, alla vigilia della più grande crisi bancaria dagli ultimi cent’ anni. E si sono svenati per la soddisfazione di trovarsi pieni di prestiti in sofferenza. Disappunto alimentato dalla considerazione, anche questa ingiustificata, che, ai multipli attuali, oggi si potrebbe comprare la Sua Capitalia con appena 4 miliardi. E se gli azionisti di Unicredit piangono, quelli vecchi di Capitalia non ridono: sono stati pagati con azioni Unicredit, quindi dei primi condividono la sorte. A non lamentarsi è chi, ingiustificatamente, non ha creduto in Lei e Profumo, e ha preferito il contante ai titoli. Ma, a ben vedere, «l’ operazione più bella» non ha portato troppa gloria neanche agli amministratori delegati delle due banche, Arpe e Profumo, visto che entrambi hanno perso il posto. Licenziamenti ricompensati con 80 milioni in due, ma il prestigio della carica non ha prezzo. Concordo però che dal Suo punto di vista questa operazione sia stata veramente “la più bella”: proprio grazie alla fusione tra Unicredit e Capitalia la Sua carriera presidenziale ha subito un’accelerazione, che l’ha portata prima alla presidenza di Mediobanca, dove ha cambiato subito governance per comandare meglio, e poi a quella di Generali. È vero che formalmente Mediobanca controlla Generali, e non viceversa, ma certamente non è stata, la Sua, una retrocessione, perché Mediobanca e Generali viste da lontano, sembrano un bambino che porta a spasso un grosso cane feroce: è il bambino che tiene il guinzaglio, ma non c’ è dubbio su chi decida da che parte andare. Un grazie anche per rappresentare un modello convincente da poter offrire ai miei studenti di finanza, che mi chiedono, oltre ad astratte formule e vacue regole elaborate da una cultura anglosassone ormai in crisi, indicazioni per la loro crescita intellettuale e futura vita professionale. Infine, solo una modesta richiesta. A Lei, Presidente, che opportunamente si definisce «banchiere di sistema», e a tutti gli altri «banchieri di sistema» che per il bene del Paese creano grandi banche, salvano Alitalia, aiutano Risanamento, Pirelli RE, e Ligresti a superare la crisi immobiliare, tutelano la stabilità di Mediobanca e del Corriere, garantiscono l’ italianità di Telecom, chiederei di rinunciare alla vostra proverbiale generosità e per una volta, di anteporre agli interessi del Paese quelli gretti e meschini di quei poveri zoticoni che investono i loro risparmi nelle società che fondete, risanate, sostenete. Per una volta lasciate che al bene del Paese pensi qualcun altro. Meglio ancora, lasciate che siano gli italiani a decidere da soli che cosa è bene per loro.

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