Fossimo l’America

settembre 18, 2003


Pubblicato In: Giornali, La Stampa

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Tv e giornali: il dibattito sulla legge Gasparri

Contro la legge Gasparri sul sistema delle comunicazioni sono intervenuto in commissione, in aula, e sui media, individuando due principali, gravissimi errori: essersi inventato, per calcolare il tetto antitrust, un Settore Integrato delle Comunicazioni, coacervo di attività ammassate senza logica e senza valutazione economica; aver proposto una “privatizzazione” della RAI che è una presa in giro; aggravati dal fatto di avere addossato alla RAI i costi per l’introduzione del digitale terrestre che dovrebbe consentire a Mediaset di tenersi Rete4.

Della legge invece approvo l’eliminazione degli steccati tra Tv e carta stampata (ovviamente, per tenere conto della posizione dominante di Mediaset Mondadori, con vincoli asimmetrici che durino un numero di anni sufficienti al formarsi di concorrenti adeguati).

Altri invece sono i due difetti su cui si appuntano le critiche che alla legge muove Angelo Benessia sulla Stampa del 16 Settembre. Quanto alla prima, che essa non garantisce il pluralismo, consento sulla denuncia ma dissento dal rimedio. E’ ovvio che il pluralismo aumenterebbe se Mediaset e RAI cedessero ciascuna una rete. Ma, posto che l’attuale opposizione non è riuscita a ottenere ciò quando era al governo, sarà l’attuale maggioranza a imporlo? Posto che la via politica per arrivarci sembra poco praticabile, che la concorrenza si fa tra aziende reali e non virtuali, perché non realizzare la concorrenza fin da ora possibile? Un sistema formato da RAI, Mediaset, Sky, TV minori, integrato da contratti di servizio, garantisce concorrenza e pluralismo. A condizione che la RAI sia tutta privata. Invece quella tra una RAI pubblica, governata dai partiti, e una Mediaset libera di decidere le proprie strategie, non è concorrenza: non lo sarebbe, probabilmente, neppure se dovessero cedere una rete a testa.

“Televisioni e giornali ad armi impari”: il titolo dell’articolo di Benessia spiega la sua seconda obbiezione. Le televisioni si prendono tutta la pubblicità, a danno dei giornali e quindi della “libertà di informazione”, come recita l’occhiello. Giusto timore, a cui però il legislatore può rispondere senza modificare l’impianto della legge, riducendo l’affollamento pubblicitario e includendo nel computo, in tutto o in parte, le telepromozioni; riducendosi l’offerta di spazi televisivi, il loro prezzo aumenterà: ma non si può essere per il mercato e la concorrenza e allo stesso tempo chiedere alla legge di porre un tetto ai ricavi di un’impresa. Soprattutto sarebbe il caso di rendere esplicito che questa seconda obbiezione non ha nulla a che vedere con la prima, cioè che mercato pubblicitario da un lato, assetti proprietari e pluralismo TV dall’altro, nulla hanno a che fare tra loro. Quando gli editori se la prendono con la concentrazione dei media, passando sotto silenzio o osteggiando la questione centrale, cioè la privatizzazione della RAI, dànno adito al sospetto di preferire il tanto deprecato duopolio ad un’apertura del mercato che li porrebbe di fronte a impegnative scelte imprenditoriali.

Quanto poi al confronto con gli USA, le diversità sono in tutto. Incomparabile la struttura del settore, dove operano 4 gruppi televisivi privati, di cui 3 giganti, per cui è lecito chiedersi che cosa abbia da guadagnare il cittadino da ulteriori concentrazioni. Diverso il processo di approvazione delle leggi e dell’opinione pubblica: ma non si può dire che da noi di TV e di Gasparri si sia parlato poco. Non c’è il nostro tipo di conflitti di interessi. Gli affollamenti pubblicitari nelle TV americane sono a livelli per noi intollerabili: ma non risulta che i giornali premano sul governo per limitarli.

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