Fondazioni nelle banche? La priorità non è difendere il vessillo nazionale

febbraio 23, 2004


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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L’acquisizione delle nostre banche da parte di banche estere può essere un’opportunità

“La classe politica non accetta la colonizzazione del credito italiano ad opera delle banche straniere”. Per Massimo Mucchetti, (Corriere della Sera del 21 e 22 Febbraio), questo è il vincolo da cui non si può prescindere ragionando di soluzione ai problemi sistemici delle nostre banche ( alcune delle quali sono azioniste importanti di questo giornale). Così, passano in secondo piano i problemi veri: la mancanza di contendibilità del controllo, la dimensione troppo piccola.

Così, non resta altra strada che le fusioni tra banche italiane, che diminuiscono ancor più la concorrenza. Io invece sono totalmente d’accordo con Francesco Giavazzi (Corriere della Sera del 18 febbraio): che alcune nostre grandi banche possano essere acquisite da banche estere non solo non è un rischio, è un’opportunità. Un’eventualità che, al suo prospettarsi, favorirà la fusione tra banche nostre sulla base dell’efficienza, anziché della dimensione o di criteri ancor più impropri; al suo realizzarsi immetterà competenze nuove al servizio delle nostre imprese.
Constatata la mancanza di soggetti privati “abbastanza forti e stabili da scoraggiare interventi sgraditi”, Mucchetti “scopre” le Fondazioni bancarie. Oggi divenute enti di diritto privato, i loro vertici sono nominati o per cooptazione o dai politici locali. Fare di soggetti che non rispondono né al mercato né alla politica, i soci di riferimento delle banche, sarebbe peggio che ritornare alle banche pubbliche. Mucchetti se ne guarda bene, e ricorre a una singolare forma di governance bicipite: il management risponde agli altri azionisti per tutto, mentre le fondazioni assicurano l’italianità. E chi glielo ordina? Con quale strumento? La legge? La moral suasion? ( In tal caso chiedere referenze a Ciampi e a Tremonti). Ma soprattutto: è legittimo? Gli abitanti dei territori di origine, i “proprietari” dei patrimoni delle Fondazioni, sono d’accordo? I vincoli di patrimonio costano, e se Mucchetti fosse certo che l’investimento nelle banche conferitarie è per sempre il migliore possibile, tutti (lui ed io per primi) metteremmo lì la totalità dei nostri averi.

Solo le forze di mercato devono presiedere a fusioni e acquisizioni, anche tra banche: io ne sono convinto. Invito a una riflessione i tanti che sostengono che questo processo possa avvenire solo col vincolo di reciprocità con altri paesi europei. Se il “presidio nazionale” può essere smantellato solo con un’accorta regia di bilanciamento, tale processo non può essere affidato al “velo irresponsabile” delle sole Fondazioni, che mancano per definizione di un’ottica sistemica. E neppure a Bankitalia, perché la legge la vuole indipendente e quindi in qualche modo “irresponsabile”. Se é la classe politica a mettere il vincolo, come dice Mucchetti, bisogna accettare che sia il governo – come avviene in Francia e Germania – ad avere l’ultima parola sull’internazionalizzazione del nostro sistema bancario. “Sapore sovietico”?: a chi lo dice. Ma è l’inevitabile conseguenza del considerare il vessillo nazionale come la priorità da difendere.

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