Errori di prospettiva

aprile 9, 2004


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Chi rema contro la soluzione della crisi irachena

Il peggio sarebbe se il caos in cui sta precipitando l’Iraq avesse l’effetto di dividere e contrapporre ancor di più l’Occidente contro l’Occidente. Mentre invece ci sono considerazioni su cui dovrebbe essere facile, perfino ovvio, concordare.

  • Avere in Iraq uno stato terrorista fondamentalista degli imam al posto dello stato terrorista laico di Saddam é un rischio che l’Occidente non può correre; avere in Iraq una “democrazia islamica” é una prospettiva che il mondo intero ha interesse a perseguire.

  • Andarsene ora dall’Iraq trasformerebbe quel rischio in certezza e allontanerebbe quella prospettiva di decenni. Al contrario il rischio verrebbe scongiurato e la prospettiva realizzata dall’azione concorde, politica e militare, di tutti i paesi dell’Occidente, e di molti paesi non occidentali.

    Se queste considerazioni non si traducono in fatti, é perché ancora profonde sono le spaccature che si sono prodotte all’interno dell’Occidente in quei drammatici mesi del 2003. Chi continua a ripetere che comunque questa é una guerra ingiusta, ad accusare l’America di preconcetta volontà unilateralista, a ribadire che l’ONU é fonte di legittimazione, anzi la sola fonte di legittimazione possibile, anziché la sede in cui stringere accordi e formare alleanze: costoro rendono più difficile la soluzione del problema iracheno. Chi continua a porre l’ultimatum del 30 Giugno fornisce un incentivo ai terroristi iracheni per rendere impossibile il mantenimento di quella scadenza per il formale passaggio di consegne al primo embrione di governo iracheno.

    E’ irrealistico chiedere alla Francia di riconoscere che é stata la minaccia del suo veto a spingere gli USA a procedere da soli; sarebbe disastroso chiedere all’America di considerare un errore la decisione di combattere sia gli stati che proteggono i terroristi sia gli stati terroristi. Ricomporre ora quella frattura é impossibile, insistervi è dannoso.
    Bisogna invece disaccoppiare la crisi attuale dagli eventi che hanno preceduto l’entrata in guerra di America e Inghilterra. E non per ragioni strumentali, cioè per trovare la coesione che consenta di dare risposte, politiche e militari, atte a fronteggiare la crisi: ma per una ragione sostanziale. Gli eventi che si giocano sullo scacchiere internazionale non sono il meccanico succedersi di cause ed effetti, azioni e reazioni, ma sono la risultante di un’enorme quantità di forze. Ci sono momenti in cui le storie diventano storie nuove, con dinamiche proprie, autonome rispetto a quelle che le hanno precedute: quella attuale in Iraq ne è un esempio. Come i fatti della storia non sono teleologicamente ordinati al futuro che seguirà, così non sono deterministicamente conseguenti alla catena degli eventi che li hanno preceduti.

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