Debenedetti: l’opposizione non si faccia condizionare

luglio 7, 2002


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


di F.M.
Franco Debenedetti, se­natore Ds dell’ala libe­ral, propone il dilemma in modo molto chiaro: «A set­tembre le forze sociali si ritroveranno attorno al ta­volo per l’attuazione del Patto per l’Italia e in quel momento l’opposizione di governo dovrà decidere die­tro a quale tavolo sedersi: dietro i banchetti della Cgil per abrogare le norme che modificano l’articolo 18? Oppure dovrà presentarsi con proposte proprie? Co­me la “Amato-Treu” sugli ammortizzatori sociali che verrà presentata fra qual­che giorno».

Senatore Debenedetti, le due linee sono così inconciliabili? Piazza e Parlamento non si pos­sono integrare?
«Non si può, da un lato, trattare l’applicazione di una norma e dall’altro rac­cogliere le firme per abro­garla. Ciò che non è integra­bile, è un’opposizione di governo e un’opposizione che si propone principal­mente, se non unicamente, di mandare a casa questo governo».

Ma per la Cgil la priori­tà sembra essere la piazza: raccolta di fir­me, scioperi, agitazioni nei posti di lavoro…
«Al contrario, io penso che l’opposizione dovrà dimo­strare una grande capacità propositiva. Se non la avrà, chi fa le trattative, resterà senza la forza dell’opposi­zione alle spalle».

Ma proprio in queste ore la Cgil ha convoca­to i partiti dell’Ulivo, ma anche Rifondazione e Di Pietro: siamo davanti ad un “collateralismo rove­sciato”?
«Ho trovato molto singola­re questa “chiamata” di Cofferati ai leader dell’op­posizione e ho trovato pro­pria la risposta di Rutelli. Cofferati ha un doppio pro­filo. Di sindacalista e di uomo politico. E’ indispen­sabile che questo doppio profilo si sciolga. Tanto prima, tanto meglio. Ma c’è un altro problema…».

Quale?
«A Pesaro, anche se perso­nalmente ho votato per Enrico Morando, i Ds si sono dati una linea politica: quella di una opposizio­ne di governo. E a quella linea io resto coerente. Da questo punto di vista trovo significativo il fatto che la prima presa di posizione sul Patto per l’Italia sia stato fatta congiuntamen­te da Bersani e da Letta, a rappresentare così l’unità dell’Ulivo».

Ma il Patto è tutto da buttare?
«Sono molto critico sul Pat­to per l’Italia. Penso che la modifica dell’articolo 18 sia di scarsa incidenza pra­tica e di complessa attua­zione; penso che la riforma degli ammortizzatori socia­li sia inadeguata. Ma non si può negare che, essendosi giocata tutta questa vicen­da sul piano simbolico, Cisl e Uil abbiano finito per portare a casa un risultato molto importante».

Quale?
«La riduzione delle tasse per i ceti meno abbienti. E’ una misura di stampo key­nesiano, non certo thatche­riano. E’ una piccola cosa, ma è pur vero che il gover­no anziché abbassare le aliquote più alte, taglia le tasse per i redditi più bassi con lo scopo di incentivare i consumi».

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