Chi manda giù la lira?

gennaio 1, 1994


Pubblicato In: Varie


Come reagiranno i mercati finan­ziari? ci si è chiesto con preoccu­pazione, noti che furono gli exit­poll delle ultime elezioni. Pochi giorni prima si era nuovamente agitato il sospetto di manovre della “speculazione internazionale”.

Da dove provengono i fondi della “specu­lazione”, chi li manovra, da quali interessi è mosso? Tutto ha origine dai cambiamen­ti avvenuti nel settore pensionistico: in Giappone e nei paesi emergenti l’aumento dei beni gestiti dai fondi pensione è fenomeno relativamente recente; nel mondo anglosassone di fronte all’aumento dell’età media, quindi del rapporto tra pensionati e lavoratori, e all’impossibilità per i bilanci delle aziende o dello Stato di finanziarli integralmente, si assegna ai singoli un maggior ruolo nel provvedere alle proprie pensioni. Negli Usa, dal 1970 è possibile scegliere tra la pensione tradizionale “a be­neficio definito” (in cui il fondo si impegna a erogare una certa somma mensile) e quella “a contribuzione definita”: l’azienda si impegna a certi versamenti, i singoli scelgono a proprio rischio come integrarli e investirli. Questo risparmio non si accontenta più della sola efficienza amministrativa, chiede efficienza gestionale, “performance”.

Anziché depositare il danaro in banca, o acquistare direttamente titoli, lo affida a investitori istituzionali: investire non è più un’attività per pochi ricchi.

Oggi, il totale del danaro gestito dagli investito­ri istituzionali è calcolato in 14.000 miliardi di dollari, la metà del Prodotto mondiale lordo; il numero dei fondi di investimento supera quello delle azioni quotate alla borsa di New York; i loro patrimoni sono pari a quelli di tutti i depo­siti bancari.

La performance è il sacro graal: i colossali gua­dagni che promette e operatori più abili sono il motore di questo mercato: come si misura la performance?

Un patrimonio è gestito in modo efficiente se assicura il massimo di rendimento commisurato al grado di rischio accettato. Se i prezzi rifletto­no tutte le informazioni disponibili su un bene, solo notizie imprevedibili possono causare un cambiamento di prezzi; ma siccome non si possono prevedere notizie imprevedibili, le varia­zioni dei prezzi sono imprevedibili. Il massimo di efficienza possibile sarebbe rappresentato dal mercato stesso: è impossibile fare costante­mente meglio; non esistono investitori abili, ma solo investitori fortunati. Gli investitori istituzionali non si accontentano di questa risposta. Le loro strade per “battere il mercato” si basano su due tipi di osservazioni: la prima, su cui si basa l’analisi fondamentale, è che nessun mercato è in grado di trattare in modo efficiente le informazioni. Si com­pera un titolo perché si e in possesso di un’informazione esclusiva (ma l’insider trading è punito), o perché ci sono motivi non ancora sfruttati per una strategia di investimento: i mercati emergenti, oppu­re le piccole aziende. È vero che l’attività di un investitore che sfrutti le inefficienze provoca la scomparsa dell’inefficienza stessa: ma il mer­cato produce sempre novità, si tratta solo di essere i primi, perché i mercati inefficienti sono i mercati nuovi.

La seconda strada fornisce una base razionale alla cosiddetta analisi tecnica. Questa prescinde dai valori reali, ma si limita ad osservare l’andamento passato di alcuni indici e cerca di dedurne il comporta­mento futuro. Che probabilità c’è che un aumento di prezzi sia segui­to da un altro aumento? Deviazioni dalla legge di distribuzione casua­le sono state notate, e spiegate: le informazioni non si riflettono in modo immediato sui prezzi; molti investitori aspettano di vedere se un prezzo è salito prima di agire; i loro comportamenti non sono razio­nali e simmetrici: riguardo al rischio, o riguardo agli orizzonti tempo­rali (il calo dei tassi di interesse in un paese significa per alcuni un mi­nor utile a breve, per altri una più vivace attività economica a lungo). Nella memoria dei computer vengono immagazzinate quantità impres­sionanti di dati relativi ai passati andamenti, ai matematici si chiede di scoprire regolarità e di interpretarle; si programmano i computer per operare automaticamente sui mercati.

Un mondo in cui i “cassettisti” sono sostituiti da computer che com­prano e vendono automaticamente, secondo teorie di qualche genio matematico, non può non destare qualche preoccupazione. Le somme in gioco sono da capogiro: ogni giorno, nel solo mercato delle valute, cambiano di mano da 750 a 1000 miliardi di dollari.

Una crisi finanziaria avrebbe conseguenze so­cialmente destabilizzanti: è pur sempre danaro che deve assicurare la vecchiaia a chi lo ha inve­stito. E poi, per qualcuno sufficientemente potente ci può essere la tentazione di smettere di predire il mercato, e invece cercare di influen­zarlo: le uniche previsioni che si avverano sem­pre sono quelle relative a latti che uno riesce a provocare. Così è stato per i fratelli Hunt con l’argento, per Gardini con la soia: ma si sa come è andata a finire. La storia si presta a più di una morale: la prima morale è che, di fronte alla di­mensione, globalità e sofisticazione dei mercati, sia la “speculazione” a modificare la realtà, nel­la fattispecie che si diverta a far scendere e salire la nostra liretta per più di qualche minuto, e sembra dettata o da ignoranza o da mania di persecuzione. La “spe­culazione” può solo sfruttare informazioni su asimmetrie reali, ad esempio la sopravvalutazione della lira e della sterlina nel settembre scorso, e giudicare che i governi non abbiano la forza politica ed economica per sostenerla.

La seconda morale è il carattere circolare dell’informazione: i mercati esistono perché la gente ha informazioni sui prezzi, ma l’informazione :sulle informazioni disponibili è anch’essa un’informazione, che, sfrut­tata, diventa nuova informazione e così via all’infinito: come nei frattali che, per quanto se n’h ingrandisca una parte, continuano ad esibire sempre la stessa trama: ad infinitum.

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