Aumentare la concorrenza nei servizi pubblici per fronteggiare la fiammata delle tariffe

luglio 1, 1995


Pubblicato In: Varie


Signor presidente, signor rappresen­tante del Governo, colleghe e colle­ghi, vorrei fare solo alcune osservazio­ni senza pretesa di completezza, anche perché ci troviamo – credo – nei tempi supplementari.

Per quanto riguarda l’inflazione, men­tre la Germania ha un tasso del 2 per cento, quello dell’Italia si aggira intor­no al 6 per cento. L’obiettivo principa­le è ricondurre questa percentuale nei limiti di quelle contenute nel DPEF: il 3,6 per il 1996 e il 2,5 per il 1998: si tratta di un obiettivo straordinariamen­te impegnativo. Credo che ci troviamo di fronte a dei problemi analoghi a quelli che sono stati affrontati negli anni 1992 e 1993, e quindi ai mezzi che allora sono stati impiegati. Di con­seguenza, vi sarà un altro aumento dei tassi, un’altra invocazione al manteni­mento dei fondamentali accordi del 1992 e del 1993. Questi hanno dato luogo – è inutile che ce lo nascondia­mo – ad un gigantesco trasferimento di risorse. Cosa gli andiamo a racconta­re? Evidentemente, dovremo munirci di argomenti sostanziali su quello che lo Stato dà e su quello che lo Stato prende, iniziando ovviamente dalla politica tributaria.

A pagina 31 del DPEF leggo la seguente frase: “si proseguirà l’azione di contrasto all’elusione e all’evasio­ne”. Sono consapevole del fatto che si ripetono sempre le stesse litanie e gli stessi ritornelli; non è un problema di gettito ma di fondamentale equità. Non sarò certo io a chiedere degli ina­sprimenti inutili e delle grida manzo­niane di provvedimenti vistosamente severi quanto praticamente vani; però questo è un problema ineludibile. Se mi si passa l’esagerazione, vi è un Ministero e una politica da rifare; e qui dovremmo forse riprendere e riconsi­derare uno dei pochi portati buoni del precedente Governo, e cioè il Libro bianco del ministro Tremonti.

E veniamo alle riduzioni dei costi. L’unica cosa è avere più mercato per aumentare la concorrenza; l’unico deterrente che le imprese conoscono è il rispetto. Di sacche di inefficienza ce ne sono tante: ci sono le banche con un costo del lavoro che supera gli inte­ressi, i trasporti aerei di cui recentemente si è parlato, il commercio e la distribuzio­ne, i servizi resi dalla pubblica ammini­strazione. Non si fa, per esempio, abba­stanza ricorso all’ out sourcing, negozian­do almeno un parziale trasferimento all’impresa assegnataria per ridurre l’en­tità delle dismissioni o i trasferimenti ad altre mansioni.

Certo, mi rendo conto che una cosa sono i dati programmatici che un Governo, anche a durata temporale limitata, può proporre come impegno alle forze politiche, un’altra cosa sono le azioni con cui attuarli; tali dati richiedono un’azione costante, prolun­gata nel tempo, minuziosa, coraggiosa e testarda. Emerge quindi chiaro il prezzo che paghiamo sia per l’instabi­lità politica, sia per la mancanza di orizzonti temporali certi, in cui un Governo possa proiettare la propria azione. Tornando a parlare di questioni minori, ma non del tutto inepta, debbo manifestare la mia sorpresa per quan­to scritto a pagina 36 del DPEF, lad­dove si dice che: “Il Governo intende promuovere tale partecipazione”, ­cioè quella del capitale privato nella produzione di beni e servizi tradizional­mente affidati alla finanza pubblica ­”estendendola dai grandi sistemi a rete (trasporti autostradali, ferroviari, siste­mi aereoportuali, settore idrico) …”. Settore idrico: e perché non telecomu­nicazioni? Il Governo sa che la Stet ha annunciato investimenti per 13.500 miliardi di lire per cablare le città. Il Governo sa che in altri paesi il pro­gramma delle reti cavo è stato intera­mente finanziato dal capitale privato, cioè secondo quanto è riportato alla stessa pagina 36 del DPEF, dando luogo tra l’altro a ricavi non irrilevanti delle concessioni e ad una consistente riduzione delle tariffe. So bene che gli investimenti che la Stet dichiara di autofinanziare non gravano sul bilan­cio dello Stato, perché non fanno parte in prima battuta del Documento al nostro esame, ma il Governo sa bene che i costi telefonici costituiscono un’area di grande e potenziale rispar­mio per gli utenti privati, per le impre­se e soprattutto per le banche. Mi dicono che vi sono taluni istituti di cre­dito, in cui la bolletta telefonica costi­tuisce il 30 per cento dei costi.

Se fosse vero quanto da tempo si dice e quanto è oggi riportato dai giornali, e cioè che la Stet sta negoziando i diritti per le partite di calcio, allora io chiedo quando il Governo vorrà porre fine a questa occupazione, da parte della Stet, di un settore nuovo che la tecnologia ha creato, quello della con­vergenza tra telefono e televisione che si concretizza nella posa delle reti cavo. Il Tesoro è azionista di maggio­ranza della Stet, non ha bisogno di attendere una legge del Parlamento che definisca in dettaglio il futuro assetto del settore; secondo me ha invece il dovere di impedire che il management Stet investa risorse nostre, perché tali sono anche se provengono da autofinanziamento, al solo scopo di precostituire condizioni che ostacolino la liberalizzazione futura nel settore delle telecomunicazioni.

Il discorso che ho fatto sulla Stet, sep­pure con molti distinguo e con ben altro tono, potrei fare anche a propo­sito di Enel, ma devo dire che non sono completamente d’accordo con alcune delle cose riportate oggi dai giornali in merito ad un’intervista del ministro Masera. A questo proposito non è possibile non rilevare che c’è un serio problema politico per la maggio­ranza che sostiene il Governo Dini. Noi ne sosteniamo la politica di bilan­cio di cui le privatizzazioni sono parte fondamentale, ma questa maggioranza si è espressa in modo non equivocabi­le in favore di una liberalizzazione che proceda almeno contestualmente alle privatizzazioni. Ricordo a tale proposi­to la mozione progressista del 16 marzo scorso.

Non so perché il Governo Dini non abbia scelto di passare alla storia come quello che ha introdotto mercato e concorrenza in settori vitali dell’econo­mia, ma almeno, se non vuole agire in positivo, ha il dovere di evitare il pre­costituirsi di situazioni di fatto e di i lasciare almeno il campo intatto a future determinazioni.

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