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Archivio per il Tag »inflazione«

→  agosto 8, 2018


Impegni elettorali e rischi reali

n milione per cento è l’inflazione annuale prevista per il Venezuela: è come se con i 10mila euro con cui oggi si acquista un’utilitaria, tra un anno si potesse comprare solo un espresso. Sarà perché ricordo i racconti di chi frequentò la Germania durante la Repubblica di Weimar, o quelli di chi, in Italia, vide i redditi falcidiati e i patrimoni dissolti dopo le due guerre mondiali; sarà perché ho constatato di persona come l’inflazione distorca la contabilità interna, perturbi gli scambi internazionali, e influisca negativamente sulle decisioni imprenditoriali: considero l’iperinflazione uno dei fenomeni più disastrosi che può colpire un Paese. Non induca in errore la bassa inflazione in Europa di questi anni, e l’insistenza con cui si è cercato di farla salire: quando l’iperinflazione parte è una guerra senza bombe.

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→  settembre 17, 2012


La decisione della BCE di acquistare in quantità “illimitata” titoli con maturità inferiore a 3 anni degli stati che ne fanno richiesta, può forse ridurre il costo del servizio del debito, ma non elimina il problema vero, il debito. Per questo le alternative sono solo o inflazione o ristrutturazione. Delle due, quest’ultima è di gran lunga preferibile: purché venga fatta in tempo.

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→  febbraio 25, 2008

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Intervista a Tremonti

*In rosso, le porzioni di testo evidenziate da Franco Debenedetti

La distribuzione. Per fermare i prezzi stop alla globalizzazione. Lo Stato dovrebbe acquistare beni di prima necessità da distribuire alle famiglie più bisognose

ROMA – Onorevole Tremonti, l’inflazione cresce e il problema del potere d’acquisto è sempre più urgente. Veltroni vi accusa di avere bloccato la restituzione del tesoretto. Cosa replica?

«Sul set – risponde il vicepresidente di Forza Italia – è già tutto pronto per il ciak della scena prima. La sequenza: “imbarco-uscita in mare della nave”. I riflettori sono accesi, la nave è nuovissima, il comandante iconografico nella sua uniforme, l’ascensore sociale – quello della mobilità e dei talenti – sta portando sul ponte di prima classe bella gente: affascinanti e attempati gentiluomini, ricercatrici avvenenti, figli di industriali. Tutto intorno si cominciano ad occupare con garbo elegante le chaise longue. La lista dei passeggeri di seconda e terza classe non è ancora nota. Ma in fondo non è importante. La rotta della nave è quella della felicità: nel discorso di Milano si stabilisce “il diritto alla felicità” e sulla banchina se ne distribuisce il biglietto. La nave si chiama Titanic, l’iceberg contro cui andrà a sbattere si chiama Istat. Quanto al tesoretto non è che noi abbiamo detto no, è che non esiste».

Ma l’iceberg inflazione c’è per tutti. Voi come lo eviterete?

«Prima di partire bisogna conoscere il mare in cui entri. Quello uscito con l’Istat non è il solito dato congiunturale sull’inflazione, è un dato strutturale sul “carovita”. Un fenomeno nuovo che viene dall’Asia e impatta violentemente e verso il basso sulle masse popolari dell’America e dell’Europa. E’ il portato della globalizzazione, un fenomeno disegnato, creato e cantato da quelli che hanno governato l’Occidente, l’Europa e l’Italia negli Anni Novanta e che ora si ricandidano a farlo. Artefici e vittime di un destino che non hanno capito. Quella che vendevano come l’età dell’oro è durata solo per un pugno di anni, ora stanno arrivando tempi di ferro. La globalizzazione ci sta presentando il suo primo conto. Quando nel 1995 ho scritto il “Fantasma della povertà” nessuno ci credeva!».

Ha portato guai davvero così terribili la globalizzazione?

«Un fenomeno che altrimenti avrebbe occupato decenni e decenni è stato prima compresso e poi fatto esplodere in pochi anni: la Cina è entrata nell’Organizzazione del commercio mondiale solo l’11 dicembre 2001. L’India in parallelo. È così che di colpo sono cambiate la struttura e la velocità del mondo. Un miliardo di persone sono passate di colpo dall’autoconsumo al consumo, dal mercato chiuso al mercato aperto e hanno cominciato a vivere con noi, come noi, insieme a noi. Se il petrolio che c’è nel mondo, se gli animali da carne che ci sono nel mondo, se il grano che c’è nel mondo restano uguali ma la domanda cresce violentemente, i prezzi esplodono. Quello che voglio dire è che la causa del drammatico impoverimento popolare che sta arrivando non è interna ma esterna. E qualcosa di simile non si è mai visto nella storia. Il secondo conto della globalizzazione è quello della crisi finanziaria, una crisi che sta piegando l’economia americana e con questa l’economia dell’Europa e dell’Asia. È una alternativa drammatica: se la globalizzazione continua come oggi la massa della nostra popolazione sarà più povera, se la globalizzazione entra in crisi finanziaria sarà ancora peggio. Le cause, le colpe, i rimedi li ho scritti in un libro che uscirà ai primi di marzo».

Che propone di fare?

«Per cominciare bisogna dire che cosa non fare. Non entrare in questo scenario con il pensiero debole, con il populismo leggero, con il relativismo, con il sincretismo, con il veltronismo. Nei dodici punti di Veltroni c’è tutto tranne l’essenziale. Ci trova il congedo di paternità, il Sud che diventa un hub, l’energia pulita con il sole e con il vento come nel Mulino Bianco, le centrali di sapere, le infocittà, i cento campus ecc. ecc. Non trova le tre parole che invece marcheranno i prossimi anni: la parola crisi, la parola solidarietà pubblica, la parola Stato. Ricorda quando parlavo di colbertismo? Le annuncio il clamoroso necessario ritorno del pubblico! Veltroni pensa a “chiamare il mercato” per risolvere i problemi sociali. Io penso che, in tempi di ferro, questo lo debba e lo possa fare molto di più lo Stato. Veltroni è arrivato alla Terza Internazionale essendosi preparato sui libri della Seconda. E’ arrivato a copiare il Berlusconi del 1994 solo che Berlusconi lo faceva nel 1994 oggi siamo nel 2008, in un mondo totalmente diverso».

Il vostro programma invece ha la ricetta giusta?

La nostra bozza di programma incorpora il tempo duro che c’è e che arriva. Se ci fa caso comincia dall’Europa, dalla protezione delle nostre industrie e dei nostri capannoni, del nostro lavoro. Quando la chiedevamo con Bossi, Veltroni ci accusava di barbarie economica adesso le stesse cose le chiedono Obama e McCain. Un dettaglio che non è un dettaglio: prevediamo che il governo compri beni di prima necessità e li distribuisca ai comuni e al volontariato per aiutare chi non arriva a fine mese».

ARTICOLI CORRELATI
Perché questa destra va aiutata
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2008

Perchè Ichino non è stato candidato da Berlusconi?
di Giuliano Cazzola – L’Occidentale, 26 febbraio 2008

→  giugno 23, 1997


Il contrasto euro americano sulla flessibilita’ sociale e dei mercati, emerso con durezza a Denver, ripropone agli occhi degli italiani e degli europei avvertiti la vera radice del male che ci colpisce e dell’illusione con cui molti politici europei si ostinano a volerlo curare.
Negli ultimi 20 anni il tasso di disoccupazione in Francia, Germania ed Italia si e’ piu’ che raddoppiato, in costante progressione, (salvo una breve inversione di tendenza nel periodo 89-91). Al contrario in USA la disoccupazione e’ oscillata intorno al 6%, ed oggi e’ dimezzata rispetto al 1991, punto minimo della recessione. In vent’anni in Europa si sono distrutti 2 milioni di posti di lavoro: in USA se ne sono creati 38 milioni.

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→  luglio 1, 1995


Signor presidente, signor rappresen­tante del Governo, colleghe e colle­ghi, vorrei fare solo alcune osservazio­ni senza pretesa di completezza, anche perché ci troviamo – credo – nei tempi supplementari.

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→  giugno 4, 1995


La ripresa della domanda, scrive il governatore Fazio nelle sue considerazioni finali, conduceva alla riapertura dei margini fra prezzi di vendita all’interno e costi di produzione delle imprese industriali italiane», sicché i profitti industriali tornavano ai livelli del 1988-’89, e nel settore terziario toccava un massimo storico. Che si tratti di una constatazione e non di un richiamo pare ovvio: poco prima il governatore aveva ricordato che in passato le imprese assorbivano nei margini gli incrementi di prezzo a causa di «caduta della domanda interna, deterioramento del clima di fiducia delle famiglie, sottoutilizzazione degli impianti»: uno stato dell’economia non certo da rimpiangere.

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