Vaclav Klaus e l’euro come problema democratico

novembre 26, 2012



Integrazione europea senza illusioni
di Vàclav Klaus,
Università Bocconi Editore,
Pag 114, € 15,00


Ci sono gli euroscettici per ragioni economiche: ritengono che l’eurozona non sia un’area monetaria ottimale, che imponga politiche che alcuni trovano troppo severe e altri troppo permissive, che non possa esistere una moneta senza stato. E ci sono gli euroscettici per ragioni istituzionali, preoccupati dei rapporti tra stati nazionali e superstato europeo. Vaclav Klaus è di questi, e per più di una ragione: perché istituzionale è la carica che ricopre, presidente della repubblica Ceca per il secondo mandato; e perché il suo paese fa parte dell’Unione Europea, ma non ha adottato l’euro.

Al centro del ragionamento di Klaus sta la questione democratica: è nell’esperienza di ciascuno di noi il percepire la propria “comune esistenza nazionale come qualcosa di diverso dall’esistenza nazionale” dei popoli di altri paesi, mentre un’identità europea è “un sogno lontano”; “abbiamo un vitale bisogno della nostra àncora, dello stato nazionale”, ma una società “divisa da differenti identità, valori, narrative” non può essere “unificata da diritti e doveri astratti, formulati nei trattati della UE”. I cosiddetti valori europei comuni, quali il cristianesimo, l’umanesimo, le radici giudaiche, l’illuminismo, sono indubbiamente presenti con varia intensità e misura nelle società dei singoli stati, ma molto raramente i loro concittadini li avvertono come valori comuni per tutti.

La repubblica Ceca è geograficamente e storicamente collocata al centro della storia dell’Europa: incomincia con la defenestrazione di Praga la riforma e la guerra dei trent’anni; con l’occupazione dei Sudeti la tragedia del secolo scorso. Alla base della costruzione europea c’è il grido “mai più guerre sul nostro suolo”, l’idea dell’integrazione europea come cornice a un’intesa franco tedesca che, senza bisogno di garanzie USA o URSS, valga a scongiurare le guerre. Sacrosanto proposito, ma “quantomeno discutibili” le idee con cui fin dall’inizio si accompagnò: istituire un nesso tra il nazionalismo aggressivo di Hitler e l’esistenza degli stati nazione come tali; considerare piccoli gli stati europei, e solo un’Europa unificata capace di diventare un partner di Usa. Ma soprattutto il costruttivismo, l’illusione fatale, che ne è dichiaratamente alla base: “il popolo europeo – sono le parole di Jean Monnet all’ONU nel 1952 – deve essere condotto verso un superstato senza che si renda conto di quello che gli succede”. Il problema democratico non è un inconveniente manifestatosi in corso d’opera: il “nation building” è il dato di progetto della costruzione europea.

Negli anni 50, era al Reno che pensavano Schuman e Adenauer. Quarant’anni dopo sarà decisiva un’altra frontiera, quella dell’Oder Neisse tra Occidente libero e Oriente comunista: l’abbandono del marco e la creazione dell’euro saranno il prezzo pagato dalla Germania per riunificarsi e conquistare completa autonomia. Nel 1992 “noi [cechi] eravamo toppo impegnati con la nostra radicale e difficile transizione dal comunismo a una società libera”, ma la maggior parte dei popoli europei non si accorse che la trasformazione da Comunità europea a Unione Europea, trasferendo a Bruxelles competenze degli stati, ne provocava il progressivo indebolimento, dando luogo a una cosa ben nota “a noi che abbiamo vissuto dentro il comunismo”, il centralismo democratico. Anche sotto il comunismo si giustificavano i reali problemi di funzionamento con la considerazione che “almeno così si vive in pace”: ed erano “falsità e menzogna impossibili da sopportare”. Dell’euro si sono vantati i vantaggi economici, per l’Italia la riduzione dei tassi d’interesse sul debito a livello tedesco: ma l’euro è stato voluto dalle élites politiche proprio perché il processo di integrazione imboccasse la strada della irreversibilità. Quando appare minacciata, l’irreversibilità fornisce la giustificazione per gli interventi eterodossi della BCE. E quando il progetto mostra tante criticità di funzionamento, si propongono maggiori dosi dello stesso progetto.

“La cittadinanza non è un’idea astratta sui diritti e sui doveri, non possiamo scegliere la cittadinanza, ma vi nasciamo; cresce dalla storia condivisa, dall’esperienza condivisa e spesso anche dalle sofferenze condivise.” E’ per senso della storia, quella che ha formato l’identità del Paese di cui è a capo, quella che è sopravvissuta a mezzo secolo di integrazione forzata, che Vaclav Klaus pone il problema democratico della costruzione europea. Ed è quello che distingue il suo appassionato libretto nella ormai vasta letteratura sull’euro, quella su come salvarci con l’euro e quella su come salvarsi dall’euro.

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