Una privatizzazione a spese dello Stato

novembre 12, 1998


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Dare soldi dello stato perché soggetti pubblici possano diventare soci di aziende private: questo il risultato della legge sulle fondazioni bancarie oggi approvata dal Senato. Si concedono sgravi fiscali alle fondazioni che dismetteranno – parte – delle loro banche e si consente che il ricavato possa venire impiegato per entrare direttamente nel capitale di imprese private. Quali, lo decideranno i vertici delle fondazioni, che sono di nomina politica. Si realizza così, consentito dalla legge e finanziato con il danaro del contribuente, il corto circuito tra economia e politica.

Era il 1990, quando Amato per privatizzare le casse di risparmio, cioè due terzi dell’intero sistema bancario, le scisse in due: da una parte le banche a imprestare danaro; dall’altro le Fondazioni a finanziare opere di utilità sociale, cultura, istruzione, sanità.
Nel 1998, otto anni e cinque governi dopo, alcune fondazioni hanno venduto quote delle loro banche, di cui peraltro continuano ad essere gli azionisti di riferimento; alcune hanno già impiegato parte del ricavato per entrare nei noccioli duri di società privatizzate, INA, Telecom, AEM Milano. Con questa legge, decidere di quali società private, anche quotate, diventare soci, sarà nella discrezionalità di amministratori prevalentemente o di nomina pubblica o cooptati (Terzo Rapporto dell’Associazione delle Casse di Risparmio, aprile 1998, pagine 40 e 41), con procedure da manuale Cencelli. Come riferisce ad esempio Maurizio Tropeano (“Si ridisegna il sistema bancario”: La Stampa, 6 Ottobre 1998, pagine 40-41), nel caso specifico del CRT, con “ripartizione dei posti in ballo: uno ai DS, uno ai popolari, il terzo a Rifondazione, che in questo modo verrebbe ricompensata per la rinuncia al terzo assessore”. Bisogna invece che ci sia netta distinzione tra l’uso che le fondazioni fanno del reddito del loro patrimonio – uso di cui i cittadini potranno chiedere conto quando eleggono sindaci e presidenti di province e regioni – e il modo in cui impiegano il patrimonio stesso- che deve essere schermato da interferenze politiche. Non deve succedere al patrimonio delle fondazioni quello che é successo a molte banche: le migliaia di miliardi di crediti inesigibili che si sono accumulati nelle banche di Roma, Napoli, Palermo non sono stati tutti incautamente erogati per incompetenza dei funzionari, ma anche per assecondare pressioni politiche. Non deve accadere alle molte persone di specchiata onestà che oggi siedono ai vertici delle fondazioni, non deve accadere ai loro successori, quello che accadde in tempi non lontani al presidente di una banca: che per essersi rifiutato di eseguire gli ordini fu rudemente svillaneggiato dal leader politico che ne aveva promosso la nomina.

Si é giunti a questo risultato perchè l’opposizione, al fine di guadagnarsi il favore di alcuni notabilati locali, ha sposato la tesi secondo cui certe fondazioni minori sono già private e che nessuna legge può prescrivere loro che cosa fare del proprio patrimonio. Tesi molto discutibile sul piano giuridico: ma la cui logica conseguenza avrebbe dovuto essere di chiedere norme specifiche per queste situazioni specifiche. Invece, l’opposizione ha proposto di rendere più lasche le norme per tutte le fondazioni, comprese quelle, di gran lunga le più importanti, la cui natura pubblica non é messa in dubbio da nessuno: e ha trovato governo e maggioranza pronte a lasciarsi “imporre” questa mediazione.
L’opposizione si é affrettata ad incassare il premio politico per gli interessi delle particolari categorie così ben rappresentati: il sen. Luigi Grillo di Forza non si é trattenuto dal manifestare il suo entusiasmo (La Repubblica del 6.11.98). All’ultima ora nella maggioranza sono affiorate le preoccupazioni, il relatore alla Camera, Mauro Agostini, esprime riserve sul “profilo riformatore di questa legge”. Altri volevano ancora fare qualcosa ma non l’hanno fatto per quieto vivere. Hanno sbagliato e alla prova del voto di fatto ha prevalso la volontà di chi vuole avere ancora una mano sull’economia. Preoccupazione opposta era quella che ispirava le soluzioni che con scritti e discorsi, con proposte e analisi ho contribuito a promuovere: raccogliendo autorevoli consensi e sensibilizzando l’opinione pubblica. Di conseguenza più acuta sarà la sensibilità per questo passo indietro su un argomento delicato, più diffusa la convinzione che questa legge non serve gli interessi generali.

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