Il libro del neo ministro
“La crisi greca non è un caso speciale, non deriva dall’incapacità di fare riforme strutturali: rappresenta la crisi del progetto neoliberista”. Apre così il “Crogiuolo della Resistenza”, scritto, insieme a Christos Laskos, da Euclide Tsakalokis, il ministro che ha sostituito Varoufakis. Non è un instant book, è del 2012. Non è un pamphlet, è l’analisi di economisti colti ricca di tabelle e grafici, è il programma di marxisti rigorosi convinti dell’inevitabile fine della “sintesi neoliberista” su cui è costruita l’Europa. Mostra come dietro negoziazioni erratiche e comportamenti stravaganti, ci sia, preparata da anni, una strategia economica che va oltre il momento, propositi politici che vanno aldilà della Grecia.
Punto di partenza è la valutazione del caso greco. Non è un’anomalia dovuta a irresponsabilità fiscale, a intrecci di interessi che possono reggersi solo su sempre maggiori deficit e debiti, al rifiuto della modernizzazione: tutte cose che servono solo a legittimare la favola calvinista in cui i cattivi devono essere punti per i loro errori. Nel 2008, scrivono, la Grecia era bene avviata sulla strada di un ordine economico neoliberale e di una corrispondente forma di governo. Le crisi, greca e mondiale, sono endogene al sistema neoliberista, hanno radici politiche, sociali e ideologiche, non si curano con “riforme” che espongono i lavoratori alla concorrenza e agli incerti del mercato. L’accusa alle socialdemocrazie europee è bruciante: questo è il contrario di quello che era stato il loro progetto, perché non hanno colto l’occasione per mettere in discussione l’adesione al neoliberalismo? Perché si sono lasciati intrappolare in questa prigione ideologica? Indietro non si torna: o si va verso forme più autoritarie di capitalismo oppure si trova qualche modo di superarlo. E la Grecia è la cavia per sperimentare che cosa potrebbero fare i popoli in economie differenti: può il capitalismo sopravvivere senza un welfare moderno? può l’eurozona risolvere il problema del Sud senza trasferimenti? può legittimare questa visione autoritaria?
Syriza, per prima volta dopo generazioni, offre alla sinistra europea un’interpretazione convincente della crisi, una strategia per diventare la forza materialista che rompa le vecchie alleanze sociali e ne formi di nuove per il superamento del capitalismo. Alla fine del 2012 era chiaro che questa era una crisi come quelle degli anni ’70, forse dei ’30: ma nessuno affronta i problemi del ruolo del sistema finanziario, delle diseguaglianze sociali e regionali, dell’inadeguatezza dell’architettura economica e finanziaria. La perdita di sostegno di Hollande, il declino del partito popolare in Spagna, la stessa caduta del Pasok in Grecia, indicano che le sinistre hanno perso il contatto con le loro basi tradizionali. La Grecia è il “Crogiuolo della Resistenza”, il luogo in cui ragionare non solo della crisi greca, ma dell’eurozona, non solo per la sinistra, ma per un’alternativa al neo liberalismo. Il default innescherà una dinamica verso l’indipendenza della politica monetaria, il controllo dei capitali, nazionalizzazioni e politiche industriali per la sopravvivenza nazionale: la strada monetaria al socialismo. Syriza ha tutto l’interesse a internazionalizzare il problema del debito, a sfidare i governi dell’austerità mostrando che nella crisi del debito ci sono caratteri sistemici, che ne fanno un problema di tutta l’eurozona, per le forze lavorative del Sud in primo luogo ma anche per quelle del Nord. Syriza ha bisogno della solidarietà internazionale: internazionalizzare il problema del debito è il modo per cercare una nuova architettura finanziaria nell’Eurozona.
Syriza ha una propria strategia che porterebbe non solo alla fine del neoliberismo, ma a una diversa economia e una diversa agenda politica, costruita sull’esperienza dei movimenti sociali che si sono opposti al neoliberalismo. Perché una cosa è analizzare gli squilibri macroeconomici in termini di architettura economia e finanziaria, tutt’altra è vedere l’eurozona come un’area per lo sfruttamento dei paesi della periferia da parte delle locomotive del centro. Al posto della visione marxiana della lotta di classe come motore dell’evoluzione storica Syriza pone uno schema teorico per cui sono le contraddizioni e le relazioni di sfruttamento tra formazioni sociali capitaliste a muovere la storia.
I negoziatori europei ai tavoli di Bruxelles sono avvertiti.
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