Troppo facile prendersela con i banchieri

settembre 8, 2009


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio

ilfoglio_logo
Che in una crisi finanziaria le banche c’entrino è un’ovvietà. Che i bonus eccessivi, a volte oltraggiosamente eccessivi, dei banchieri, meritino l’attenzione dell’autorità, di vigilanza o forse anche politica, è sicuro. Ma il documento firmato da sette ministri economici dell’Eurozona in previsione del summit del G20 di Pittsburgh lascia interdetti, per le sue perentorie affermazioni e per il ragionamento che su di esse viene costruito.

“Oggi sappiamo fin troppo bene quali siano stati i motivi della crisi”, premettono i firmatari. Dopo decenni di studi, si sono ancora oggi divergenze sulla dinamica della Grande Depressione degli anni Trenta; su questa crisi sappiamo molto di più di due anni fa, ma si è ancora ben lungi dal disporre di un modello plausibile. Quello che è sicuro è che spiegazioni che indichino un’unica causa sono, “nella migliore delle ipotesi insufficienti, e più probabilmente paranoidi e pigre”. (Walter Münchau, Financial Times del 24 agosto). Si sa “fin troppo bene” i ruoli avuti da tassi di interessi troppo bassi per troppo tempo, squilibri macroeconomici, politiche della casa, garanzie implicite, prociclicità di Basilea 2; inerzia dei regolatori: tanto per affastellare i titoli più frequentati.
Invece i principali responsabili delle nostre economie guardano in una sola direzione: i banchieri. Sono loro che hanno inventato gli “strumenti finanziari oltremodo complessi”, loro che hanno approfittato di “normative insufficienti nei confronti di specifici prodotti”, loro che hanno esibito “avidità senza limiti”.
Sostenere che “l’irresponsabilità distruttiva di alcuni operatori finanziari” sia stata “la” causa di una crisi di queste dimensioni non è credibile, non fosse altro per la sproporzione quantitativa tra la causa e gli effetti. Se fosse così, i contribuenti dovrebbero chiedere conto a governanti e regolatori per avere consentito di mettere nelle mani di un numero limitato di persone e di istituzioni un potere tanto distruttivo.

Ma il punto cruciale è un altro: da alcuni secoli si sa a quanti pericolosi inganni si possa andare incontro nello stabilire rapporti causali, quanto sia facile scambiare una concomitanza per una causa. Qui lo si fa addirittura al quadrato. Prima sostenendo che la crisi, ovviamente scoppiata nel sistema finanziario, sia stata provocata dalle banche. E poi ancora sostenendo che il fallimento delle banche sia stato provocato dall’avidità dei banchieri. In altri termini: una prima volta sostenendo che banche “too big to fail” sono la causa dell’incendio e non il luogo dove sono dovuti intervenire i pompieri; una seconda sostenendo che sono stati bonus e stock option a creare istituzioni che presentano rischi sistemici.

Il risultato ha del grottesco: se l’avidità è la causa del disastro, sostituire banchieri con funzionari a stipendio fisso non pare una gran trovata. E se basta mettere un tetto ai guadagni, qual è la “modica avidità” tollerata? Qual è il rapporto di proporzionalità tra incentivi e rischi, talché si possa risalire dal rischio accettabile all’incentivo ammesso? Certi bonus sono inaccettabili, rimandano a problemi di corporate governance e di insufficiente concorrenza, sono la spia di distorsioni a vantaggio delle banche nella ripartizione dei profitti, anche grazie all’uso di leve finanziarie abnormi: è giusto che sia la politica a scrivere le regole del gioco. Ma deve dimostrarsi all’altezza: nell’analisi e nei rimedi.

Non appaiono credibili i ministri economici dell’area dell’euro quando si vantano di aver preso lo scorso aprile le decisioni per “eliminare le cause della crisi”: tant’è che il segretario al Tesoro americano, in contemporanea al loro manifesto, chiede di mettere al centro degli sforzi (“at the core of our endeavour”) una cosa affatto diversa, il rafforzamento dei requisiti di capitali delle istituzioni finanziarie. Non appaiono credibili quando dicono che “i recenti dati economici sembrano suggerire che ci siamo lasciati alle spalle il peggio della crisi finanziaria”: tant’è che il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, lo stesso giorno, ammonisce essere “prematuro dichiarare superata la crisi finanziaria. Non appaiono credibili quando ritengono “la cultura dei premi” sia esplicativa del passato e la sua fine garanzia per il futuro. Senza regole appropriate (e la crisi ha mostrato quanto inadeguata e inadeguatamente applicata fosse la supervisione) il sistema finanziario non può funzionare bene, e il rischio di crisi rimarrà tale e quale.

Il populismo è strategia razionale per far vedere al pubblico che “you care”. Prendersela con un capro espiatorio, soprattutto quando non è un agnello innocente, può essere un peccato veniale. Diventa peccato mortale se ci si crede, e se ne fa l’Ersatz di politiche appropriate. Ma poi, conviene davvero? A forza di parlarne, gli elettori si sono acculturati, possono insospettirsi per affermazioni sicure al limite dell’arroganza, e non accontentarsi di spiegazioni così semplicistiche.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: