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Archivio per il Tag »populismo«

→  maggio 15, 2021


Caro Direttore,
“la trasformazione cosmetica dei populisti”: senza avere la tua genialità di trovare le parole per esprimerlo, è quello che pensai partecipando, in remoto, a un lunch talk con Luigi di Maio. La sua lettura dell’introduzione conferma che lo staff della Farnesina non ha bisogno di cosmesi. Nessuno si aspettava le visioni di uno statista: ma le risposte alle domande dei commensali, ospiti educati ma per nulla virtualmente inginocchiati, hanno rivelato un perfetto giovane e volonteroso sottosegretario: che a studiare si impari stupisce solo se a dimostrarlo è proprio chi voleva convincerci che uno vale uno. E poi: chi c’è oltre a lui (Sileri non ha bisogno di metamorfosi)?

I populisti “non fanno più paura”: ma dànno speranza? Non basterebbe neanche che spegnessero tutte e cinque le loro stelle: bisognerebbe che splendessero di una luce diversa. E chi glielo dice a quelli che li hanno votati? Nelle mie campagne elettorali, andavo nelle sezioni che erano state comuniste a spiegare perché bisognava abolire l’art.18: uscivo e i segretari gli dicevano che servivano i voti di chi la pensava come me per battere Berlusconi. Ma la rivoluzione liberale a destra non c’è stata, e a sinistra non è bastata.

E se non l’hanno imparato loro, chi insegnerà ai populisti che la scuola è per gli allievi e non per i sindacati, che salvare le aziende zombie è sprecare soldi e non risolve i problemi, che nella PA si entra per meriti e non per anzianità da precario, che solo la concorrenza produce efficienza e la proprietà pubblica la riduce, che il golden power esteso a tutti i casi ci porta all’autarchia e all’isolamento?

Certo che è meglio se, come Marine Le Pen, si schierano con Israele (costa anche poco, non ci sono israeliani sui barconi). Ma a salvare questo Paese, la trasformazione non basta che sia cosmetica: e neppure che riguardi solo loro.

→  settembre 21, 2020


Il caso Autostrade lo dimostra: a forze come Movimento 5 Stelle e Lega mancano le basi culturali per rinnovare il Paese. Perciò è impossibile discutere con chi ha fatto ammalare la gente di reddito di cittadinanza e quota 100

È del 2003, per la precisione del 23 ottobre, il primo articolo che scrissi sul Riformista. Al governo c’era Berlusconi e noi eravamo all’opposizione. Ma se qualcuno mi avesse chiesto quali riforme avremmo voluto fare, avrei parlato per mezz’ora. Oggi non saprei che dire: perchè oggi pregiudiziale al parlare di riforme è avere in Parlamento una maggioranza e un’opposizione diverse.

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→  ottobre 10, 2018


Ciò che accomuna i populisti al governo agli intellettuali è la diffidenza verso i mercati

“Al MEF, i soldi che servono, devono decidersi a tirarli fuori!” “Se devo scegliere tra lo spread e gli italiani, io scelgo gli italiani.” “Bruxelles deve rendersi conto che milioni di italiani col loro voto hanno scelto una politica economica diversa”.

Per Ernesto Galli della Loggia (Le risorse contese tra i Poteri, Corriere della Sera, 1 Ottobre 2018), “la polemica in corso tra l’osservanza o meno delle regole europee in materia di deficit”, deriva da un cambiamento del rapporto tra politica ed economia, tra democrazia e potere economico. La democrazia ha bisogno di risorse in quantità sempre crescenti, e per procurarsele è spinta fatalmente a cercare di sottomettere ai suoi bisogni l’economia. Mentre fino agli anni 80 del Novecento c’era stata la prevalenza della politica sull’economia, da allora le cose sarebbero cambiate, come conseguenze di due fenomeni: primo, aver reso le Banche centrali indipendenti dal potere politico; secondo, avere liberalizzato il mercato dei capitali, rendendolo “unificato e interconnesso”. Per effetto della prima, la politica ha perso il controllo sui tassi di cambio e di interesse; per effetto della seconda, il mercato ha “accresciuto il proprio raggio d’azione e d’influenza rispetto ai bilanci statali bisognosi di credito”.

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→  ottobre 5, 2018


“Com’è possibile che nessuno si sia accorto che ci stava arrivando addosso questa crisi spaventosa?” La battuta rivolta da Elisabetta agli economisti della LSE resterà forse la più famosa del suo lungo regno: perché la domanda della Regina è la domanda regina. Quanti libri letti, quante pagine scritte, alla ricerca delle cause della più grave crisi del mondo occidentale dalla fine della seconda Guerra mondiale! Il proposito di governi repubblicani e democratici di dare una casa a tutti; la spinta a fare prestiti a tutti, anche ai NINJA (No Income No Job nor Asset); l’innovazione tecnologica per finanziarli, “impacchettando ed affettando” i debiti; i “nasi di Cleopatra” (se Jimmy Cayne non fosse restato a giocare a bridge, se Dick Fuld avesse dato retta a chi gli suggeriva di cambiare modello di business, se Alan Greenspan avesse ascoltato Raghuram Rajan e alzato i tassi nel 2005). Rajan, uno dei pochi che la crisi l’aveva prevista, perché aveva visto le “Fault lines”, le fratture nascoste che minacciano l’economia globale. (Terremoti finanziari, Einaudi 2012).

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→  ottobre 4, 2018


Pensare alla lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è una rivolta del Lumpenproletariat contro le élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni. Però è vero che nel breve arco di cinque anni, dall’avere la presenza dello Stato più grande che in qualsiasi altra economia occidentale, siamo passati a vincere l’Oscar delle privatizzazioni.

Che si tratti di Bekaert perché delocalizza la fabbrica o di Autostrade perché le crollano i ponti, la prima reazione dei gialloverdi e del M5S in particolare, è quella di mettere lo Stato al posto dei privati: una pulsione sottopelle che aspetta solo un fatto eclatante per trasformarsi in bubbone. Ma il tentativo di vederlo come un altro episodio della lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici, è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è unas rivolta del Lumpenproletariat contro élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni.

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→  agosto 29, 2018


Al direttore.

Incivilirli, come vorrebbe Orsina, o cacciarli, come esorta a fare Panebianco? Quello che fanno – e quello che non fanno – non può che portare a un deterioramento della condizione economica del paese: grave, ma insufficiente a cacciarli e incapace di incivilirli. Quello che inevitabilmente farebbero per nascondere il loro fallimento, questo sì che sarebbe veramente terribile. E poiché può accadere molto presto, non resta che cacciarli prima che succeda. Il Pd è quello a cui guardano sia Panebianco sia Orsina: chiami a raccolta quanti, con la loro inventiva e il loro lavoro, tengono ancora in piedi questo paese. Abbandonare senza rimpianti e con intransigenza quanti pensano che i Cinque stelle covino ideali comuni alla sinistra (la teoria della costola-della-sinistra 2.0) è la parte facile; quella difficile è liberarsi dell’antiberlusconismo (e del berlinguerismo di cui è la reincarnazione). Ma se non si incomincia da lì, tutte le geremiadi sull’assenza di un’opposizione sono puro flatus vocis.

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