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→  ottobre 15, 2018


Il governo ha convocato alla cabina di regia per gli investimenti, oltre Cdp, solo le aziende di cui è azionista di riferimento, e di cui nomina i vertici. Quando lo Stato entra direttamente nella gestione di imprese, scatta il conflitto di interessi

C’era mezzo Governo – Luigi Di Maio, Paolo Savona, Danilo Toninelli, Barbara Lezzi, Giulia Buongiorno, Giancarlo Giorgetti – martedì scorso nella sala verde di Palazzo Chigi, ad ascoltare dalla viva voce del premier Conte quello che si sta facendo per favorire gli investimenti: codice degli appalti, riforma del fisco, riforma del codice civile, massiccio piano di semplificazione burocratica. A precisare l’entità degli Investimenti pubblici era Giovanni Tria medesimo: 15 miliardi nel triennio oltre ai 5,7 miliardi già stanziati, quindi in totale 20,7 miliardi.

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→  ottobre 4, 2018


Pensare alla lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è una rivolta del Lumpenproletariat contro le élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni. Però è vero che nel breve arco di cinque anni, dall’avere la presenza dello Stato più grande che in qualsiasi altra economia occidentale, siamo passati a vincere l’Oscar delle privatizzazioni.

Che si tratti di Bekaert perché delocalizza la fabbrica o di Autostrade perché le crollano i ponti, la prima reazione dei gialloverdi e del M5S in particolare, è quella di mettere lo Stato al posto dei privati: una pulsione sottopelle che aspetta solo un fatto eclatante per trasformarsi in bubbone. Ma il tentativo di vederlo come un altro episodio della lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici, è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è unas rivolta del Lumpenproletariat contro élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni.

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→  settembre 12, 2018


Parla del Ponte Morandi, il ministro Toninelli in audizione alla Commissione Ambiente della Camera: e questa non è una notizia. Lo è invece che questa è stata l’occasione per adeguarsi a, e rafforzare, con il peso della sua autorevolezza, il nuovo corso di euro-rispetto che tanto successo ha riscosso a Cernobbio. “In questi minuti – ha detto ai deputati – è in corso un incontro a Bruxelles per verificare se si possa derogare al Codice degli Appalti perché si possa fare l’assegnazione immediata senza gara ad un soggetto pubblico come Fincantieri la ricostruzione del ponte”. Altro che il 3%, altro che Tria: al ministero delle Infrastrutture non muove foglia che Europa non voglia. Che lo si sappia e che cali lo spread.

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→  settembre 5, 2017


L’analisi di Franco Debenedetti

Commento di Franco Debenedetti sul paper “Market-based Lobbying: Evidence from advertisement spending in Italy” a firma di Stefano della Vigna, Ruben Durante, Brian Knight, Eliana La Ferrara e pubblicato da American Economic Journal: Applied Economics 2016, 8 (1) pp 224-256.

Oltre al lobbying classico, in cui il danaro fluisce direttamente dall’azienda al politico, esiste il market-based lobbying: una strategia che porta a finanziare il politico indirettamente, aumentando l’utile di un’azienda da lui posseduta, comperando in maggior quantità i suoi prodotti. Questo è avvenuto, vogliono dimostrare gli autori, per la pubblicità comperata da Mediaset (rectius, prima del 1996, da Fininvest), cresciuta, nei periodi in cui Berlusconi era al governo, soprattutto da parte di aziende regolate, che evidentemente si aspettavano di ricavarne vantaggi diretti. Il risultato è stato un aumento del profitto di Mediaset di oltre 1 miliardo di euro. Il fatto che in 9 anni si siano succeduti periodi in cui Berlusconi è stato primo ministro e periodi in cui è stato all’opposizione, offre un’occasione rara per studiare le correlazioni.

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→  gennaio 10, 2016


Analisi dell’economista ed ex ministro Paolo Savona

Errare è umano, perseverare è diabolico. Ho pensato a questo vecchio detto quando ho letto la definizione che la Banca d’Italia ha dato del BRRD, la nuova direttiva per la “soluzione” delle crisi bancarie (Dio ci protegga dagli acronimi e dai termini inglesi che ne celano il significato): «Le nuove norme consentiranno di gestire le crisi in modo ordinato attraverso strumenti più efficaci e l’utilizzo di risorse del settore privato, riducendo gli effetti negativi sul sistema economico ed evitando che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti».

Questa definizione implica che: 1) le gestioni delle crisi precedenti fossero meno ordinate, in sostanza una critica che la Banca d’Italia rivolge a se stessa; 2) i nuovi strumenti saranno più efficaci di quelli usati in passato; 3) le risorse proverranno dal settore privato; 4) gli effetti negativi delle crisi sul sistema economico verranno ridotti; 5) i contribuenti non subiranno più il costo dei salvataggi bancari. Questa elencazione dei molti vantaggi ricorda un episodio accaduto all’Assemblea francese: un ministro esordì affermando che aveva molti buoni motivi per avanzare la sua proposta; lo interruppe un deputato logicamente agguerrito che obiettò «se dispone di una buona ragione basta e avanza; ci risparmi dal sentire gli altri».

Nessuno degli effetti indicati dalla Banca d’Italia ha solidi fondamenti. In passato la soluzione delle crisi ha funzionato bene, ne consegue che gli strumenti usati erano efficaci; le risorse provenivano anche dal settore privato e affluivano mosse dalla convenienza, non dall’obbligo di legge come sarà da questo momento in poi; l’economia reale ha sempre beneficiato del precedente regime, mentre non accadrà lo stesso in futuro; l’onere sulla collettività era spalmato in modo più equo di quanto non avverrà con la nuova legge che penalizza il risparmio.

La logica economica prescrive che per raggiungere ciascun obiettivo si deve applicare almeno uno strumento, mentre la nuova legge prevede un solo strumento per raggiungere i cinque obiettivi indicati dalla Banca d’Italia; la realtà è che il vero scopo del provvedimento è unico: trasferire la responsabilità delle crisi prodotte dalle autorità italiane ed europee ai risparmiatori anche piccoli, quelli che avrebbero dovuto tutelare.

La decisione è frutto della grave malattia che ha colpito l’Europa, quella di voler isolare i bilanci pubblici dalle vicende dell’economia e della società che le autorità dovrebbero governare, ma non riescono a farlo, come dimostra la grave crisi finanziaria diffusasi a seguito delle insolvenze dei crediti subprime e dei loro derivati. Per proteggere i conti pubblici si penalizzano quelli delle famiglie, già messe a dura prova dall’incapacità mostrata dalle autorità di saper governare la crisi e la sua diffusione. La legittimazione dell’irresponsabilità delle autorità e della responsabilità dei risparmiatori è priva di basi pratiche; infatti il nuovo regime di risoluzione delle crisi porta sulle spalle delle banche un onere solo inizialmente prevedibile, quello di costituire un fondo presso l’organismo di tutela dei depositi, e un onere imprevedibile se lo devono ricostituire se utilizzato.

Le banche trasferiranno l’onere in forme più subdole alla clientela per ricostituire il rendimento del loro capitale al fine di evitare i riflessi negativi sulla loro capacità di concedere credito alle imprese produttive e, di conseguenza, all’intero sistema economico; ma non basta, perché ridurranno la remunerazione del risparmio a esse affidato e aumenteranno il costo dei servizi prestati. In conclusione la collettività pagherà comunque l’onere degli interventi in forme più difficili da valutare.

Chi trae un vantaggio dalla nuova regolamentazione sono quindi solo le autorità responsabili delle crisi per non aver saputo governare il mercato. Ma anch’esse si illudono, perché se vogliono avere un sistema del credito e del risparmio all’altezza dei compiti che attendono l’economia fuori dalle speranze e dalle chiacchiere in corso dovranno darsi carico di studiare un meccanismo meno pericoloso di quello approvato che protegga l’offerta di credito e il risparmio che la sostiene.

Ciò che sconcerta in questo provvedimento, come nella spiegazione datane dalla Banca d’Italia che lo ha propiziato, è che non si parla del problema di fondo, quello di chi fornisce le informazioni ai clienti della banche; danno invece la colpa alla loro ignoranza, che è anche frutto delle omissioni pubbliche in materia.

Ammesso che l’ignoranza possa essere attenuata o, al limite, anche sconfitta, su quali basi statistiche deve poggiare l’uso del sapere finanziario conquistato dai risparmiatori e chi è tenuto a fornirle? In passato, la tutela del risparmio era stata affidata alle società di rating, istituzioni private che ne hanno combinato più di Bertoldo di Francia. Non si può delegare a esse o altre simili istituzioni private il compito di attuare l’art. 47 della nostra Costituzione. Devono provvedere le autorità. Ciò sarà possibile solo dividendo nettamente il sistema dei pagamenti, le cui prestazioni vanno totalmente garantite dallo Stato, dal sistema del credito, che si svolgerà sotto il controllo del Governo, la vigilanza di enti delegati e, in caso di crisi, risolto con norme meno rigide di quelle erroneamente introdotte con il bail in. Si può sperare in una maggiore attenzione al problema da parte degli organi democratici rispetto a quella finora prestata? Le informazioni raccolte sul trattamento discriminante seguito dai paesi membri dell’UE testimonia il modo affrettato e superficiale con cui la direttiva è stata varata e da noi approvata.

Porvi rimedio è tanto più urgente e importante quanto più si intendono ridurre i livelli di protezione sociale per necessità legate alla competizione globale con paesi che non hanno gli stessi livelli. Da decenni si va operando sul sistema pensionistico senza sviluppare in parallelo regimi di tutela del risparmio volontariamente accumulato; anzi le due responsabilità, quella di formarsi una previdenza integrativa continuando a contribuire a quella pubblica vengono accompagnate da un aumento dei rischi finanziari corsi dal cittadino, ormai ritornato allo stato di suddito di leggi improvvide approvate dal suo decisore collettivo, il Parlamento.

La protezione della collettività dagli oneri delle crisi non può avvenire infliggendo ai risparmiatori una perdita, con le conseguenze indicate, ma migliorando i meccanismi pubblici di informazione e di vigilanza, come pure i meccanismi di soluzione delle crisi; per questi ultimi insisto sul fatto che vanno eliminati i conflitti di interesse esistenti che hanno generato ritardi nel salvataggio e oneri più elevati per la collettività, ponendo le funzioni di vigilanza e di soluzione in posizione di autonomia e reciproca indipendenza.

Come consuetudine, lo si capirà solo dopo che i buoi sono scappati dalle stalle, ossia a crisi scoppiata.

→  maggio 25, 2015


Intervista di Edoardo Petti

Un fondo pubblico e privato per accompagnare la ristrutturazione di industrie strategiche che, pur presentando uno squilibrio patrimoniale o finanziario, abbiano adeguate prospettive di mercato. È la novità più rilevante contenuta nel provvedimento redatto dal governo e resa pubblica ieri dal Sole 24 Ore.A d essere costituita sarà una società per azioni con un capitale minimo di 830 milioni e che potrebbe arrivare a 1,5 miliardi. Risorse fornite grazie alla partecipazione di Cassa depositi e prestiti, Inail, grandi gruppi bancari, fondi di investimento. E che rappresenteranno la garanzia statale della durata di 10 anni per gli investimenti nelle realtà produttive.Per capire se e in che modo il programma approntato da Palazzo Chigi possa rivelarsi utile per il rilancio del tessuto industriale Formiche.net si è rivolta a Franco Debenedetti, manager, imprenditore, ex senatore dell’Ulivo e presidente dell’Istituto Bruno Leoni.

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