I fondamenti
Perché parlare di economia?
Pensare come un economista è componente dell’educazione
La scuola insegna come “funziona” il mondo
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I fondamenti
Perché parlare di economia?
Pensare come un economista è componente dell’educazione
La scuola insegna come “funziona” il mondo
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Ma è poi dimostrabile il “Teorema dell’anno 2013” (Il Foglio di venerdì)? Nel senso che nella tabellina gli obbiettivi della colonna di destra siano stati comuni a tutti, da Berlusconi a Prodi, da Tremonti (perché dimenticarlo?) a Padoa Schioppa, e che a farli deragliare siano state le ali estreme?
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Engineering the Financial Crisis:
Systemic Risk and the Failure of Regulation
by Jeffrey Friedman e Wladimir Kraus
University of Pennsylvania Press, 2011
pp. 224
Review by Antonio Foglia
One of my more politically and financially alert friends called my attention to Friedman and Kraus’s book, noting they had similar views to mine. Having so far only expressed them in one paper [1] and numerous newspaper articles, I realised from his tone the added credibility that comes from putting them in a book…
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Per migliorare il rating non servono vincoli ma più concorrenza
L’ignoranza dei regolatori, ben più dell’azzardo morale del too big to fail, delle formule di remunerazione dei grandi banchieri, delle politiche permissive della Fed, è stata il fattore decisivo della crisi del subprime: ignoranza dei regolatori finanziari, che usarono i rating come determinanti dei requisiti di capitale delle banche; ignoranza dei regolatori contabili, che obbligando ad applicare il principio del mark to market, fecero precipitare la crisi finanziaria in una tremenda recessione.
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Leggere l’articolo 18 ad Atene, si potrebbe dire parafrasando il titolo del noto best seller di Azar Nafisi. Fa riflettere anche noi la città che brucia, i disordini per le riduzioni di stipendio ai dipendenti pubblici, per i licenziamenti massicci del settore privato, per le privatizzazioni fatte con l’acqua alla gola; il tutto mentre il Pil è in calo del 6% nel 2011 e peggio si prevede per l’anno in corso, dopo una ristrutturazione del debito pubblico che dovrebbe far passare il debito, tra dieci anni, dal 160% al 120% sul Pil. Fa riflettere, e non solo perché quel numero, uguale al nostro 120%, ci suona inquietante e suscita fastidiosi pensieri.
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“L’esistenza dell’articolo 18 è utile soltanto per impedire licenziamenti discriminatori che vanno comunque bloccati e sanzionati”, scrive Eugenio Scalfari (nel suo articolo di domenica). Ciò di cui da anni e particolarmente oggi si discute, però, é il licenziamento per giustificato motivo economico: qui l’articolo 18 protegge il lavoratore soltanto nel caso in cui il giudice ritenga che il motivo addotto dall’imprenditore non sia sufficiente, ma lascia il lavoratore con un pugno di mosche in mano quando invece il licenziamento sia ritenuto giustificato. La proposta di cui si discute è di prevedere invece un indennizzo automatico, sottratto alla decisione del giudice, e un trattamento di disoccupazione universale, più robusto e accompagnato da servizi di assistenza intensiva per la ricerca della nuova occupazione, responsabilizzando per questo anche l’impresa che licenzia.
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