E se provassimo a leggere l’art. 18 partendo dalla crisi greca?

febbraio 21, 2012


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Leggere l’articolo 18 ad Atene, si potrebbe dire parafrasando il titolo del noto best seller di Azar Nafisi. Fa riflettere anche noi la città che brucia, i disordini per le riduzioni di stipendio ai dipendenti pubblici, per i licenziamenti massicci del settore privato, per le privatizzazioni fatte con l’acqua alla gola; il tutto mentre il Pil è in calo del 6% nel 2011 e peggio si prevede per l’anno in corso, dopo una ristrutturazione del debito pubblico che dovrebbe far passare il debito, tra dieci anni, dal 160% al 120% sul Pil. Fa riflettere, e non solo perché quel numero, uguale al nostro 120%, ci suona inquietante e suscita fastidiosi pensieri.

Certo che noi siamo diversi: siamo un Paese che ha un’industria manifatturiera che riesce a esportare nel mondo; abbiamo un turismo importante, anche se ci affonda una nave; abbiamo reti di servizi pubblici, anche se funzionano male; raccogliamo le imposte, anche se l’evasione è altissima; teniamo sotto controllo il deficit, anche se un po’ in affanno. Abbiamo un governo a cui “prospero è il vento” dei creditori – banche estere e loro governi – e “placida è l’onda” dei debitori – opinione pubblica e partiti. Ma ci sono problemi su cui appare senza senso restare incagliati, sol che si ponga mente a cosa sta succedendo a pochi chilometri da noi: l’abolizione dell’articolo 18, a cui perfino i più strenui sostenitori riconoscono ormai un valore solo simbolico; la quota di Snam Rete Gas che può restare in mano all’Eni, la privatizzazione delle Poste, separando servizio postale e bancoposta. E si potrebbe continuare. Cose che toccano anche interessi economici, ma irrilevanti di fronte all’esigenza preminente di far funzionare meglio i mercati del lavoro e del capitale e di aumentare la fiducia nell’Italia. Di fronte ai brutali sacrifici imposti ai greci, riacquistano le giuste proporzioni quelli che dobbiamo fare noi per dare più consistenza all’apertura di credito che ci viene concessa, dovuta sì alla nuova immagine che diamo di noi nel mondo, ma che prima di tutto risponde all’interesse di chi ce l’accorda, dalla Merkel a Obama.
E dopo? Per la Grecia, tenuta dall’Europa col guinzaglio corto, l’orizzonte si misura in settimane. Ma quand’anche i finanziamenti arrivassero e le tasse si raccogliessero e il bilancio si riequilibrasse, come si fa a rimettere stabilmente sulle sue gambe un’economia in recessione da anni, su cui si abbatteranno queste misure di austerità? La maggioranza degli osservatori ritiene che non ci sia niente da fare, che la Grecia non eviterà il default, l’uscita dall’euro e quindi dall’Unione. E che l’Europa cerchi solo di guadagnare qualche mese di tempo, una nuova offerta di liquidità della Bce alle banche che alleggerisca la pressione sui titoli di debito sovrani, l’approvazione di modifiche istituzionali, capire cosa succede del Portogallo, evitare un default “disordinato”. O forse solo che opinioni pubbliche e mercati si abituino all’idea.
Certo che siamo diversi, ma l’”e dopo?” vale anche per noi. È un dopo più lungo, si misura in mesi anziché in settimane: ma il tempo è il fattore critico, ancor più con un governo che, nato d’emergenza, sta diventando qualcosa di diverso, ma a cui comunque al più tardi entro la primavera del 2013 succederà un governo “normale”; e non sappiamo come sarà eletto e che profilo avrà. Per cui dopo il Salva-Italia, sperando che la recessione da tasse non sia troppo severa, dopo il Cresci-Italia, sperando che le liberalizzazioni facciano miracoli presto, ci vuole il Taglia-Italia, o se si preferisce il Taglia-spese, l’abbattimento dello stock della spesa pubblica: sperando che ne siano capaci. (“Ma le privatizzazioni dove sono?”, Il Sole 24 ore del 24 gennaio).
Abbiamo bisogno di guadagnarci del tempo: tempo per recuperare senza svalutazioni un delta di produttività che dura da un decennio, tempo per recuperare l’evasione, tempo per vedere i frutti delle liberalizzazioni, tempo per vendere i beni dello stato, immobili e partecipazioni: solo il taglio dello stock di spese agisce rapidamente.

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