→ Iscriviti
→  luglio 6, 2014


Correva l’anno 1988, governo De Mita. Paolo Cirino Pomicino, alla Funzione Pubblica, lanciava il concorso pubblico per lo “Sportello del Cittadino”: invece della via crucis tra ministeri e procedure, i cittadini avrebbero avuto un unico strumento da cui interfacciare tutta la P.A. Naturalmente non successe nulla: le burocrazie ministeriali, ammesso che accettassero di lasciarsi così interrogare, di come scambiarsi i dati tra di loro, manco si son poste il problema. Fanno resistenza, si disse, e si disse l’ovvio: se non incontrassero resistenza, le riforme sarebbero già state fatte. Per riformare la Pa il governo Renzi ha introdotto una certa mobilità dei dipendenti e promosso un largo ricambio generazionale dal basso. Ha scelto cioè meccanismi che agiscono dall’interno: buoni per rompere dipendenze e incrostazioni, c’è da dubitare che siano adeguati a far prevalere le ragioni dell’efficienza su quelle della propria convenienza. L’efficienza si può definire solo con un riferimento esterno, alle convenienze degli altri, di quelli che stanno dall’altra parte dello sportello. Non c’è coscienza individuale, non accordo collettivo, non questionari scambiati con gli utenti che serva a fare quello che la concorrenza sul mercato fa automaticamente: scoprire quanto valgono beni e servizi. Per A. Gambardella e G. Tabellini (Il Sole 24 Ore del 22 giugno), sarebbe poco importante se a sviluppare le infrastrutture che aspettiamo dall’epoca dello “sportello del cittadino” (1988) fossero informatici di Google o di Poste Italiane.

leggi il resto ›

→  giugno 15, 2014


È “giocoforza riconoscere che la strada finora seguita è del tutto sbagliata” scrive Luciano Gallino (Rpubblica, 11 giugno): pagando gli interessi sul debito – 81 miliardi nel 2013, 86 nel 2014, 104 nel 2016 – lo Stato viene meno all’impegno di restituire ai cittadini le risorse che da loro riceve, e così alimenta la disoccupazione.

leggi il resto ›

→  giugno 6, 2014


Da quando è stata pubblicata la traduzione inglese di “Le Capital au XXIe Siècle”, le recensioni, i convegni, gli inviti hanno proiettato Thomas Piketty a livelli di notorietà inusuali per un economista. Ragion per cui, quando il Financial Times spara la notizia che ci sono errori nei suoi numeri e nel modo di usarli, il botto è proporzionato al successo. Gli entusiasti tutti dietro a Paul Krugman, a scagliarsi contro i pignoli incompetenti che avevano osato attaccarlo, i critici (quorum ego) a sorridere: che vi dicevo? Thomas Piketty ha scritto 1.000 pagine (dell’edizione originale) corredate da 115 tra grafici e tabelle, sintesi di 15 anni di lavoro accademico, una formidabile cintura protettiva intorno alla tesi che il capitalismo produce diseguaglianza. “Dimostrare” una tesi con una massa intimidente di dati: è il pikettismo. Ragionare sul rapporto tra scelta della tesi e raccolta dei dati: è il metapikettismo.

leggi il resto ›

→  giugno 1, 2014


by Per Krusell, Tony Smith

Thomas Piketty’s new book has been widely praised for its empirical contribution, but his prediction of rising inequality rests on economic theory. This column argues that Piketty’s pessimistic forecast is based on an extreme – and unrealistic – assumption about households’ saving behaviour. According to standard theory, the wealth–income ratio would increase only modestly as growth falls, so declining growth would not be a powerful force for generating high inequality.

leggi il resto ›

→  maggio 20, 2014


Thomas Piketty
Le Capital au XXIème siècle
SEUIL, 2013


Alcune delle formule che hanno cambiato il nostro modo di capire il mondo sono semplici e compatte: quella di Einstein dell’equivalenza di massa ed energia, quella che definisce l’entropia, che Planck scrisse sulla tomba di Blotzmann. La formula della “diseguaglianza fondamentale”, che “in un certo senso riassume la logica complessiva” del lavoro di Thomas Piketty, quanto a compattezza è imbattibile imbattibile: “r>g”. Ma che sia la legge bronzea che spiega il funzionamento del “capitale del XXI secolo” è tutto da vedere.

leggi il resto ›

→  maggio 12, 2014


Stephen D. King
Quando i soldi finiscono
La fine dell’abbondanza in Occidente
Fazi editore, 2014


Quando i soldi finiscono è solo un gioco di parole, scrive Stephen D. King a proposito del titolo che ha dato a questo suo libro: ovvio, finché c’è una banca centrale disposta a stamparli i soldi non finiscono mai. Ma può finire la fiducia, e senza di essa la società finisce per disintegrarsi.

leggi il resto ›