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→  agosto 14, 2013


Caro direttore,
come si fa ad essere promossi a scuola? Basta trasformare i 4 al 5, i 5 al 6 e avere qualche 7. Non vorrei mancare di rispetto agli amici professori, ma è quello che mi è venuto in mente leggendo l’ultimo articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi («Agenti occulti della povertà», Corriere della Sera dell’8 agosto). Come si fa a far crescere l’Italia, si chiedono? Basta trasformare in A e B i C, voti che il Fmi ci ha appioppato in tutte le riforme di cui è dimostrata la capacità di produrre crescita, e il nostro reddito aumenterebbe. Che si tratti di studenti o di governanti, la lezione è chiara. Che sia semplice, è da vedere: in entrambi i casi.

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→  agosto 8, 2013


di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

L’Italia è ferma da due decenni. In questo periodo il reddito medio degli italiani (dati Eurostat) si è ridotto del 14 per cento, mentre rimaneva sostanzialmente invariato nel resto dell’area euro e cresceva del 12 per cento negli Stati Uniti. Da che cosa dipende questo risultato drammatico? Il Fondo monetario internazionale ha confrontato i progressi compiuti da alcuni Paesi nel riformare le proprie economie ( Fostering Growth in Europe , aprile 2012). Ha suddiviso le riforme in due gruppi: quelle che possono tradursi più rapidamente in maggior crescita (riforme del mercato del lavoro; privatizzazioni; liberalizzazioni nel campo dei trasporti, della distribuzione dell’energia, delle professioni, della distribuzione commerciale) e quelle che invece richiedono tempi più lunghi per produrre effetti positivi (formazione del capitale umano, cioè scuola e università; pubblica amministrazione; giustizia civile).

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→  luglio 29, 2013


Caro Direttore,

quando Antonio Fo­glia parla di requisiti patrimoniali delle banche, e se la prende con i regolatori incapaci di imporre livelli adeguati, non si può non essere d’accordo con lui… Ma quando, spostando il discorso sugli squilibri finanziari tra Stati europei, prende di mira «la sordità tedesca alla parole di Draghi» (Corriere della Sera del 26 luglio) allora non ci si sente di condividere la sua sicurezza. «La questione delle partite correnti è sempre stata trascurata, sia nei dibattiti accademici, sia nella gestione politica dell’area dell’euro» scrivevano Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa in un paper del 2010 sulla crisi spagnola del 2008. Eppure si sa che disavanzi nei conti con l’estero servono a far convergere le economie solo se i debiti contratti finanziano investimenti produttivi tali da produrre surplus che in futuro li bilancino. Per Foglia non sono questi i problemi, bensì la Germania che ha una «errata comprensione» della crisi e che ignora «opportunisticamente» il problema; e a cui va quindi contestato che «non può poi ripudiare ì debiti che ha imprudentemente finanziato».

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→  giugno 12, 2013


di Francesco Giavazzi, Richard Portes, Beatrice Weder Di Mauro, Charles Wyplosz
Questa settimana a Karlsruhe la Corte costituzionale tedesca inizia a prendere in considerazione il caso sottopostole da un cittadino tedesco il quale chiede se il programma Omt (sostanzialmente lo scudo anti-spread) annunciato lo scorso settembre dalla Banca centrale europea sia compatibile con i trattati europei. La Corte dovrà decidere se la Bce abbia oltrepassato i limiti del suo mandato e imponga rischi eccessivi ai contribuenti tedeschi. La Corte farebbe bene ad accantonare il caso, se non vuole mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Eurozona e divenire essa, non la Bce, una minaccia per i contribuenti tedeschi e non solo. Ci limitiamo qui a considerazioni economiche, in quanto la Corte stessa ha invitato alcuni economisti a esporre il loro punto di vista nel dibattimento.

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→  giugno 9, 2013


Caro Direttore,

Per “far sopravvivere alla crisi un capitalismo moderno e moderato”, bisogna “regolare seriamente la finanza”, sostiene Salvatore Bragantini (Corriere della Sera, 6 Giugno 2013). La finanza sarebbe all’origine della catena causale che rischia di portarci al disastro.

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→  giugno 6, 2013


di Salvatore Bragantini

«Il capitalismo ha i secoli contati», s’intitola un libro di Giorgio Ruffolo, ma se esso non smette certi tratti inaccettabili la profezia si avvererà più in fretta. Le cause reali della crisi che viviamo dall’agosto ’07 sono gli sbilanci commerciali (per l’ingresso di grandi Paesi prima inesistenti per i commerci) e l’eccesso del risparmio sugli investimenti reali. Grandi fette di valore aggiunto si sono infatti spostate dal lavoro (che consuma e sostiene la domanda) al capitale (che risparmia ma non trovando investimenti produttivi crea bolle). Negli Usa il reddito reale dei dipendenti calava ma essi rimediavano indebitandosi con le banche. Queste li finanziavano grazie ai denari di chi si stava appropriando dei guadagni di produttività, fin lì divisi con il lavoro.

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