Si ai vincoli esteri, non con più tasse

agosto 14, 2013


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Caro direttore,
come si fa ad essere promossi a scuola? Basta trasformare i 4 al 5, i 5 al 6 e avere qualche 7. Non vorrei mancare di rispetto agli amici professori, ma è quello che mi è venuto in mente leggendo l’ultimo articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi («Agenti occulti della povertà», Corriere della Sera dell’8 agosto). Come si fa a far crescere l’Italia, si chiedono? Basta trasformare in A e B i C, voti che il Fmi ci ha appioppato in tutte le riforme di cui è dimostrata la capacità di produrre crescita, e il nostro reddito aumenterebbe. Che si tratti di studenti o di governanti, la lezione è chiara. Che sia semplice, è da vedere: in entrambi i casi.

Anche Monti, e anche Letta c’è da scommetterci, conoscono la ricetta. Sul mercato del lavoro, Monti aveva a disposizione il progetto di Pietro Ichino; ma preferì seguire le indicazioni della Cgil. C’è «slancio» e «slancio».

Prendiamo la legge sulle pensioni. Tutti dicono gran bene di quella Fornero: non è sostanzialmente diversa da quella che aveva presentato il governo Berlusconi 20 anni fa. La situazione finanziaria lasciata dal precedente governo Ciampi era preoccupante, ma Berlusconi era indisponibile a far ricorso al classico metodo di aumentare le tasse. Così Dini dovette inventarsi la riforma delle pensioni.

È bene ricordare come andò. Richiamo di Scalfaro alla intangibilità dei diritti acquisiti, agitazione della Lega, avviso di garanzia in pieno G7: finché il governo cade. Ovvero: zelo costituzionale, fragilità coalizionale, interventismo giudiziario: niente riforma. Quella che poi fece Dini col suo governo, notano Alesina e Giavazzi, «fu votata dal Parlamento solo perché sarebbe entrata in vigore 15 anni dopo». 1996: la vittoria di Berlusconi ha messo paura. Prodi vince con un programma di riforme e il suo governo inizia ad attuarle. Alcune buone (le privatizzazioni da oscar, il Tuf di Draghi, il pacchetto Treu, la riforma delle pensioni estesa agli statali), altre meno (le liberalizzazioni, l’università, la giustizia), ma comunque «lo slancio» c’era. Ma oggi, chi osa parlare di privatizzazioni, si sente in dovere di dir male di quelle fatte allora. Il pacchetto Treu, che pure ha creato più di un milione di posti di lavoro, è diventato l’esempio di ciò che in tema di lavoro non si deve fare. Lo «slancio» del centrosinistra finirà con una riforma tra le peggiori, quella del Titolo V, fatta al solo fine di catturare i voti della Lega.

Il problema posto da Alesina e Giavazzi è un problema solo ed esclusivamente politico.

Letta starà anche «facendo melina», ma l’equilibrio politico su cui si regge un governo come il suo rende del tutto improbabile che attui qualche riforma che porti un C a un B. Nel ’94 il governo cadde perché Berlusconi non voleva mettere nuove tasse, nel 2013 il governo cadrebbe se non abolisse la tassa sulla casa. È perfino impietoso ricordare che questo governo era nato con l’auspicio di poter essere di decantazione.

Mettere in pratica la «semplice lezione» di Alesina e Giavazzi toccherà quindi a un nuovo governo, probabilmente a un nuovo Parlamento. Anche se le variabili in gioco sono troppe per fare previsioni, come minimo c’è da mettere in conto un indebolimento del centrodestra. E non si intravvede quale combinazione tra le correnti del Pd e le forze attualmente all’opposizione possa fare scoccare la scintilla dello «slancio» riformista.

Resta il vincolo estero. I mercati finanziari o Bruxelles o il Fmi fondamentalmente chiedono che venga assicurata la sostenibilità del debito nel medio periodo. La risposta più ovvia è di aumentare le tasse: perché dà i risultati più rapidi, perché si vede che alla fine sulle tasse il consenso politico lo si riesce a ottenere, e che, una volta ottenutolo, non è soggetto alla volubilità delle maggioranze. Le tasse, come i diamanti, are forever. E poi «tax and spend» è una ricetta famigliare alla sinistra.

Di fronte a prospettive cosi pianamente disastrose, dovrebbero nascere proposte politiche che sappiano ridare «slancio». Ma bisogna porre mente alle cause che hanno ritardato di 20 anni la riforma delle pensioni (Costituzione, coalizioni, magistratura), alla damnatio memoriae a cui è condannata la migliore prova di governo del centrosinistra. Solo così ci si rende conto di quanto profondo e radicale deve essere il cambio di prospettiva politica necessario per trovare «slancio». Gli agenti della povertà non sono occulti, operano sotto gli occhi di tutti. Sono loro ad essere ciechi.

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