Sinistra di valori (o di interessi?)

marzo 2, 2000


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Una parte della sinistra vive il conflitto tra valori e interessi: preferisce i primi, ha con i secondi un rapporto difficile. Per la sinistra fabiana gli interessi economici dovevano essere redenti dalla compassione, per la sinistra marxista dovevano essere eliminati dalla lotta di classe.
Ancora oggi una parte della sinistra considera dovere degli individui realizzare i valori che la politica gli propone, piuttosto che dovere della politica consentire agli individui di realizzare i propri interessi. I valori, il residuo dello stato etico, rappresentano sempre una tentazione autoritaria: ma soprattutto consentono agli interessi di mascherarsi, camuffandosi da principi.

Parlando di politica e interessi, si pensa subito al finanziamento della politica. Il finanziamento pubblico é inviso agli elettori, e quello militante é insufficiente. Eppure, nonostante gli scandali, la maggioranza della sinistra continua a dire di volere una politica austera, che si impone per la forza delle sue idee più che per l’efficacia dei mezzi con cui viene diffusa. E respinge sdegnosamente il sistema americano, il finanziamento, fatto in modo trasparente e aperto, da parte di gruppi di interesse.

Prendiamo la questione che da 10 anni é al centro della scena politica italiana, la questione televisiva. Silvio Berlusconi propone di risolverla con il blind trust, impedendosi di agire come imprenditore; la sinistra vorrebbe troncarla con l’incompatibilità, impedendogli di agire come politico. Mentre la soluzione é vendere la RAI e così trasformare il conflitto di interesse in conflitto tra interessi: ma per farlo, la sinistra dovrebbe conciliarsi con gli interessi. Invece si ammanta di valori: la cultura nazionale, la qualità, il servizio pubblico.
Prendiamo il referendum sui licenziamenti. A Giuliano Amato che sabato incitava la sinistra a vincere le resistenze alle riforme, anche se dovessero venire dal sindacato, Sergio Cofferati oppone domenica (su Repubblica) una dura chiusura. Chiuso sui fondi pensione: quelli “contrattuali” assicurerebbero “una raccolta più semplice efficace e anche meglio remunerata”. Chiuso sul referendum: ogni modifica legislativa sarebbe equivalente “all’idea assolutamente barbara del non reintegro nel posto di lavoro di una persona licenziata ingiustamente”. Che il sindacato abbia interesse a fungere da intermediario per i fondi pensione é evidente, ma per farlo usa un valore – il solidarismo sindacale – e un pregiudizio -quello ideologico verso il mercato: mentre se c’è una cosa che il mercato sa fare é quella di selezionare l’operatore più efficiente. Nel caso del licenziamento brandisce il valore giustizia invece di calcolare gli interessi coinvolti nella rottura del contratto. E con quell’”ingiustamente” induce il timore che il referendum possa consentire i licenziamenti discriminatori. Questo é falso.

A volte la coperta dei valori é troppo corta per nascondere gli interessi: sarebbe più semplice dichiararli.

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