Senza concorrenza l’università muore

gennaio 28, 1999


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Con ogni probabilità anche a Massimo D’Alema, come alla maggior parte dei commentatori, è sfuggito il rapporto sulle business school pubblicato dal «Finan­cial Times» il 25 gennaio: in cui la scuola di management della Bocconi è presente con un inserto pubblicitario ma non nella classifica dei primi 50 istituti europei e americani. Se l’avesse visto, c’è da scommettere che marte­dì, parlando proprio nel tempio milanese degli studi economici, alla tentazione della battuta caustica non avrebbe resistito.

Nella graduatoria compilata dal giornale lon­dinese, le business school americane la fanno ovviamente da padrone (sono nove delle prime dieci). Ma accanto ad Harvard e Columbia, Stanford e Wharton, troviamo: otto scuole in­glesi, tre francesi, tre canadesi, due olandesi, due spagnole, e una svizzera. Italiana nessuna.

In questi casi sovente la prima reazione è quella del rifiuto dell’operazione classificatoria stessa: ne sa qualcosa «Il Sole 24 Ore» le cui pur articolate e analitiche classifiche sul tenore di vita delle Province italiane sono state oggetto di non poche contestazioni. Con­viene quindi preliminarmente precisare i crite­ri in base a cui è redatta la classifica. Essi sono divisi in tre gruppi: le opportunità di lavoro (stipendi e loro dinamica; facilità di essere assunti da imprese); l’apertura cultura­le (per lingua, nazionalità, sesso); il valore scientifico (carriere accademiche, ricerche ef­fettuate). Quanto al primo indicatore, per ri­durre la distorsione data dal diverso livello degli stipendi nei vari Paesi, questi sono stati convertiti usando i cambi in base al potere d’acquisto elaborati dall’Ocse e «tagliando le code» dei valori estremi.

È invece proprio dal rifiuto della classifica­zione che bisognerebbe partire. Le graduato­rie sono un modo per dare informazioni: a volerle dovrebbero quindi essere proprio colo­ro che si battono per la libertà di fare scuola e scuole: senza disporre di un sistema di valuta­zione, come fare a orientarsi nella varietà dei percorsi formativi offerti? Valutare è necessa­rio in generale per tutte le scuole, dagli asili alle università, lo è a maggior ragione per le business schools che devono preparare gli studenti a un mondo in cui la competizione è Valore e regola. Per scegliere bisogna poter paragonare, ovunque c’è concorrenza c’è qualcuno che fa una classifica.

Che auspichi «meno oligarchie, più Borsa» che indichi i limiti — noti e da tempo avvertiti — delle «ristrette oligarchie» del capitalismo familiare e i pericoli — altrettanto noti ma non avvertiti in tempo — del ruolo improprio che avrebbero le Fondazioni quali investitori istituzionali, che socchiuda le bronzee porte della flessibilità in azienda: tutti i temi toccati da Massimo D’Alema sono variazioni sul tema della concorrenza. Le condizioni della concorrenza sono le istituzioni a crearle: e qui non si può fare a meno di notarne il ritardo, che le parole di D’Alema rendono ancora più striden­te: a chi si rivolgeva il capo del Governo quando denunciava la mancanza di fondi pen­sione? Ma la concorrenza è anche cultura: e quale cultura della concorrenza può dare il monopolio statale del sistema scolastico, che di fatto nega l’effettivo uso della libertà, per gli studenti, di avere la formazione di propria scelta e peri docenti di insegnare secondo le proprie scelte? L’avere sradicato la selezione per merito ha degradato irrimediabilmente un sistema scolastico di cui potevamo menar vanto; in mancanza di concorrenza le università muoiono di corporativismo, i più valorosi tra gli accademici sono in prima fila a lamentarlo.

È puramente casuale la concomitanza di una visita e di un servizio giornalistico; il riferi­mento alla scuola di perfezionamento collega­to alla prestigiosa università milanese può an­che essere immotivato. Ma è certo pertinente l’occasione per ricordare che ogni discorso sull’aumento di competitività del nostro Paese, nel suo sistema produttivo e nei suoi assetti proprietari, è monco se non si provvede a ricostruire il sistema scolastico sulla base di principi di competizione. Da lì incomincia la formazione di una classe dirigente.

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