Romano: gli azionisti di Palazzo Koch proprietari e sorvegliati

giugno 4, 2010


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Sul tema della Banca d’Italia e dei suoi «proprietari » ho ricevuto in questi ultimi tempi altre lettere. I lettori hanno scoperto che le azioni della nostra Banca centrale sono nelle mani di numerosi gruppi bancari e si dichiarano preoccupati per la sua autonomia. Debbo anzitutto rassicurarli. Gli azionisti non sono in grado di influire sulla politica monetaria di Palazzo Koch, saldamente nelle mani del governatore e del Direttorio.

Partecipano alle Assemblee e vengono regolarmente convocati alla riunione annuale di fronte alla quale, come negli scorsi giorni, il governatore pronuncia le sue Considerazioni finali. Ma hanno meno poteri di quanti ne abbia la regina in Gran Bretagna. Per l’esattezza sono 64, con un ventaglio di partecipazioni che va dai 50 voti di Intesa San Paolo e Unicredit al singolo voto della Cassa di Risparmio di Spoleto e alla partecipazione senza voto di Banca Caripe, Banca Monte Parma, Cassa di Risparmio di Rieti, Cassa di Risparmio di Saluzzo, Banca del Monte di Lucca. Intesa San Paolo ha 91.035 quote, la Banca del Monte di Lucca ne ha 2. Aggiungo che secondo l’articolo 2 dello Statuto, «il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna la cui titolarità è disciplinata dalla legge. Il trasferimento della quota avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto». Il dividendo è irrisorio. Si aspira alla proprietà di una quota, in altre parole, per il piacere di essere invitati alle Considerazioni finali del governatore. E non è detto che la cosa sia sempre possibile. È certamente vero tuttavia che nel sistema bancario italiano esiste, soprattutto dopo la privatizzazione delle grandi banche, un conflitto d’interessi che andrebbe eliminato: una banca centrale che ha il compito di vigilare sulla correttezza dei suoi proprietari. Al momento dell’approvazione della legge sul risparmio fu effettivamente previsto che nel giro di tre anni le banche partecipanti sarebbero uscite dal capitale della Banca centrale. Più recentemente, come ha ricordato Massimo Mucchetti sul Corriere del 1˚ giugno, fu persino proposto che le banche, durante la crisi del credito, venissero ricapitalizzate grazie alla monetizzazione delle loro quote. Ma la proposta è caduta e la scadenza non è stata rispettata. Le ragioni sono probabilmente due. In primo luogo non è facile valutare le quote di una proprietà che è in realtà nominale; e in secondo luogo non è facile individuare le istituzioni a cui le quote di partecipazione dovrebbero essere trasmesse. Comunque, come ha detto recentemente Franco Debenedetti, «con tutti i conflitti di interesse che abbiamo, questo, almeno finora, non ha mai prodotto inconvenienti».

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