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Archivio per il Tag »sergio romano«

→  novembre 15, 2014


Dopo l’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione Ue, solo ora scopriamo che l’ex primo ministro lussemburghese era a capo di un paradiso fiscale, come a dire se vuoi rubare un pò puoi. Non c’è proprio limite al peggio.

Carlo Rovina

La risposta di Sergio Romano

Caro Rovina, un direttore del Corriere, parecchi anni fa, diceva spesso ai suoi redattori che non c’è nulla di tanto inedito quanto il già edito. Intendeva dire che una vecchia storia, saputa e risaputa, può sembrare nuova e fresca di stampa se torna sulle pagine dei giornali in circostanze diverse e con qualche dettaglio in più. È quello che sta accadendo in questi giorni. Come ha osservato nel suo sito una deputata europea del gruppo liberal-democratico, Sylvie Goulard, il caso degli accordi speciali sul trattamento fiscale riservato alle imprese che decidono di stabilire la loro residenza in Lussemburgo, o in altri Paesi dell’Ue particolarmente accoglienti, è noto dagli anni Novanta a chiunque abbia un po’ di familiarità con il mercato unico. All’origine del problema vi sono due principi difficilmente conciliabili. Il primo è quello della sovranità fiscale. Mentre si scrivevano le regole finanziarie dell’Ue alcuni membri dichiararono che non avrebbero mai rinunciato ad adottare il regime fiscale che meglio corrispondeva ai loro interessi e alle loro tradizioni. Altri osservarono che il migliore trattamento offerto da un Paese avrebbe creato imprese avvantaggiate e svantaggiate, vale a dire esattamente ciò che il Trattato sul mercato unico voleva evitare con regole eguali per tutti in materia di aiuti di Stato e concorrenza. È accaduto allora quello che generalmente accade nell’Unione Europea quando qualcuno si oppone a una soluzione condivisa: è stato deciso che alla materia fiscale venisse applicato il principio della unanimità, ovvero che a ogni Paese venisse concesso il diritto di veto. In altre parole il Lussemburgo e coloro che lo hanno governato non hanno commesso reati; hanno agito nell’ambito dei trattati. Sylvie Goulard ricorda che nel 2010 Mario Monti, dopo essere stato commissario per la Concorrenza, indirizzò un rapporto sull’argomento al presidente della Commissione Manuel Barroso, ma le sue proposte rimasero lettera morta. Le proteste sono dunque inutili? No. La generale indignazione provocata dal caso Juncker dimostra che la licenza concessa al Lussemburgo negli anni Novanta non è più tollerata. Se questa vicenda si concluderà con una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, dovremo probabilmente ringraziare la crisi e la rabbia delle pubbliche opinioni. Senza saperlo, anche i grillini lavorano per l’Europa.

→  giugno 4, 2010


Sul tema della Banca d’Italia e dei suoi «proprietari » ho ricevuto in questi ultimi tempi altre lettere. I lettori hanno scoperto che le azioni della nostra Banca centrale sono nelle mani di numerosi gruppi bancari e si dichiarano preoccupati per la sua autonomia. Debbo anzitutto rassicurarli. Gli azionisti non sono in grado di influire sulla politica monetaria di Palazzo Koch, saldamente nelle mani del governatore e del Direttorio.

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→  maggio 12, 2010


da Lettere al Corriere

Nella sua risposta sulla vendita allo scoperto di bond lei scrive: «Il venditore prende in prestito…», ma omette di dire quali sono le garanzie reali che deve dare al possessore dei bond, trascura la variabile tempo, nel senso che il prestito ha un limite temporale, e che c’è sempre un «premio» da pagare comunque al possessore del bond. Queste ovvietà che sto elencando hanno il solo fine di chiarire che la speculazione è fattibile solo da società o soggetti che abbiano ingenti disponibilità finanziarie.

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→  ottobre 19, 2009

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di Sergio Romano

Il caso del regista Roman Polanski è davvero molto penoso.
Sul piano umano, è triste che una persona di 76 anni venga perseguita per un reato che ha commesso trent’ anni prima. Sul piano sociale, la mobilitazione del mondo del cinema a difesa di un suo appartenente evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, come gli atteggiamenti di critica sociale che il cinema pretende di esprimere guardino non all’ etica ma al botteghino. Infine, il più penoso di tutti è l’ atteggiamento che si esprime nell’ assunto: gli stupratori non sono tutti uguali. Se si considera che in Italia è stato condannato a due anni un uomo reo di avere messo le mani sulle natiche di una donna appare chiaro il paradosso di difendere chi ha abusato di una ragazzina tredicenne.

Francesco Deambrois

Anche a me non è piaciuto lo spirito con cui alcuni intellettuali, uomini politici e rappresentanti del mondo dello spettacolo sono accorsi alla difesa di Roman Polanski. Lo hanno fatto con spirito di corporazione e, implicitamente, con la convinzione romantica che il genio abbia diritto alle sue sregolatezze: un atteggiamento che in questa vicenda mi è parso completamente fuori luogo.
Debbo confessarle tuttavia che altri aspetti di questa storia mi sono piaciuti ancora meno. Non mi è piaciuta ad esempio l’ improvvisa insistenza del procuratore californiano in un caso che, a giudicare dalle circostanze, era stato per molti anni informalmente archiviato. Non mi è piaciuto che la magistratura svizzera abbia tenuto in prigione sino al ricovero in ospedale, prima di pronunciarsi sulla richiesta di estradizione, un uomo che risiede nella Confederazione e avrebbe potuto facilmente ottenere gli arresti domiciliari. In un articolo apparso sul Riformista del 1° ottobre Franco Debenedetti osserva che la Svizzera è sempre stata «terra d’ asilo» e si chiede se l’ atteggiamento assunto verso Polanski non abbia qualche rapporto con le difficoltà della Confederazione dopo l’ offensiva del Tesoro americano contro i conti segreti di una delle maggiori banche svizzere.
Non mi è piaciuto infine che un vecchio reato venga giudicato oggi con criteri alquanto diversi da quelli che prevalevano nel periodo in cui fu commesso. Sarebbe giusto ricordare che gli anni Settanta furono quelli della «liberazione» sessuale, dell’ amore libero, dei «figli dei fiori», delle battaglie per la legalizzazione della droga. Sarebbe giusto osservare che la vittima, a quanto pare con l’ assenso della madre, frequentava registi e produttori cinematografici nella speranza di un provino. Un articolo recente del New York Times ricorda che in «Manhattan», un film del 1979, una ragazza dice all’ uomo di cui è l’ amante da qualche anno (Woody Allen nella parte di un quarantaduenne sceneggiatore televisivo): «Oggi ho compiuto 18 anni. Sono legale eppure mi sento ancora una ragazzina». Si potrà osservare che la Lolita di Woody Allen, a differenza della tredicenne di Polanski, era consenziente. Per questo appunto Polanski, se non fosse fuggito, avrebbe passato in prigione 41 giorni. Oggi, tuttavia, non se la caverebbe probabilmente con meno di cinque anni. È questa la ragione per cui esistono (e dovrebbero essere restaurate là dove sono state soppresse) le prescrizioni. Anche la morale è soggetta alle mode, agli umori del tempo, alle correnti di opinione. Noi stiamo attraversando oggi, a dispetto di certe libertà e licenze conquistate negli ultimi trent’ anni, un periodo particolarmente puritano. E la sentenza di Polanski, se venisse estradato, sarebbe puritana. Ma ciò che appare giusto oggi non sarebbe stato giusto 33 anni fa.

ARTICOLI CORRELATI
Polanski e la Svizzera
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 1 ottobre 2009

→  aprile 20, 2008

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Lettere al Corriere

Studi sull’universo

Caro Romano, un tribunale, riportava il Corriere, potrebbe bloccare il Large Hadron Collider, il gigantesco acceleratore di particelle costruito a Ginevra con il finanziamento dei governi di mezzo mondo. Lì verranno riprodotte le condizioni dell’universo un decimo di miliardesimo di secondo dopo la singolarità della sua nascita, e si cercherà conferma dell’esistenza del «bosone di Higgs», il mattone mancante al modello standard della fisica delle particelle.

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→  aprile 12, 2007

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Caro Romano,
per risolvere il problema della rete telefonica, adesso si parla molto della soluzione inglese, e si cita Openreach. Fino a poco tempo fa, anche autorevoli commentatori pensavano che quella adottata dalla Gran Bretagna fosse una separazione societaria, e sembrava pedanteria replicare puntigliosamente che si tratta invece di una separazione funzionale, che riguarda il cosiddetto ultimo miglio e non tutta la rete.

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