Rischia anche l’Europa

maggio 26, 2004


Pubblicato In: Giornali, La Stampa

lastampa-logo
Crisi irachena, il prezzo da pagare

“Finché non sarà riformata [l’Onu] rimarrà di fatto il luogo di confronto e di scontro delle grandi potenze”, ricorda Gian Enrico Rusconi ai pacifisti ingenuamente persi dietro al mito di un governo mondiale. E’ proprio in base alla più tradizionale logica dei confronti e scontri tra grandi potenze che a Washington verrà chiesto “un prezzo da pagare” per uscire dalle sabbie irachene in cui si è cacciata con la sequela di errori compiuti dopo la liberazione di Bagdad.

Tutta l’attenzione è concentrata sul prezzo che l’Europa chiederà all’America: ma al Palazzo di Vetro è in gioco anche il prezzo che l’Europa rischia di far pagare a se stessa. Di questo invece si parla assai di meno: mentre in primo luogo, è ciò che dovrebbe innanzitutto preoccuparci; e poi, quanto più di ciò si ha consapevolezza, tanto più è verosimile che dalla dinamica del Consiglio escano “soluzioni accettabili per tutti”. Allontanare tutte le forze occupanti e restituire semplicemente la piena sovranità all’Irak è, per Rusconi, un’ipotesi irrealistica. Ma questo ammonimento non vale solo per i pacifisti, ingenui o meno che siano: vale a ben maggior ragione per le cancellerie europee. E’ altrettanto irrealistico pensare che dal 2005 in Irak abbia inizio una storia “westminsteriana” in cui elezioni a intervalli regolari producano governi la cui alternanza progressivamente risolva i conflitti etnici, selezioni un’amministrazione efficiente, garantisca la sicurezza interna e l’integrità dei confini. Invece sarà l’assetto iniziale ad essere determinante per la futura storia dell’Irak e forse per quella dell’intera regione. Chi si considera un grande paese, chi aspira alla leadership di una grande Europa, non può disinteressarsene. Ed è un azzardo pensare di potersi reinserire nel gioco successivamente. In che cosa differisce la posizione dei pacifisti ingenui da quella, ad esempio, della Germania, che da un lato è in prima fila nel chiedere a Washington la rinuncia all’uso della forza militare nella fase di transizione, e dall’altro lato nega categoricamente qualsiasi presenza militare?

Per poter offrire agli iracheni ed al mondo arabo un Occidente amico, unito, e determinato, bisogna innanzitutto ricomporre la frattura che ha diviso l’Occidente nella primavera del 2003. Allora, a Francia e Germania riuscì di rovesciare retoricamente l’accusa di unilateralismo sull’America: oggi è sui grandi paesi d’Europa che a buona ragione si ritorcerebbe l’accusa, se, nella discussione all’ONU, il desiderio di alzare la posta per Washington prevalesse sulla volontà di ricompattare l’Occidente e di riparare i guai che si sono verificati dopo, e in conseguenza, di quella spaccatura.

I rischi che l’Europa corre nella discussione sul testo angloamericano presentato al Consiglio di Sicurezza, sono per certi versi persino maggiori di quelli che corre l’America. Politicamente incapace di decisioni che non siano in negativo, sprovvista di forza militare credibile, il rischio per l’Europa è quello dell’irrilevanza politica. Senza per questo garantirsi alcun salvacondotto dal terrorismo: perché la lotta contro il terrorismo non è una guerra di religione in cui ci si può dichiarare agnostici. Nel mirino di Al Qaeda sono i governi moderati dei paesi arabi, e rispetto all’evoluzione di quella parte del mondo l’Europa non può dirsi indifferente.

Per l’Italia quelle che precedono appaiono, malauguratamente, riflessioni astratte. E questo nonostante la presenza dei nostri soldati in Irak abbia assunto, nelle ultime settimane, un ruolo simbolico e strategico di prima grandezza. Ma il Governo appare incapace di farla valere con i nostri partner, anzi rispetto allo scenario europeo appare distratto, incapace di iniziativa: da un lato perché appiattito su una acritica prossimità all’amministrazione Bush, dall’altro perché compromesso verso i paesi europei da antiche polemiche e dalla memoria della inconcludente presidenza del nostro semestre. L’opposizione poi, con il voto del 20 maggio, Brahimi e l’ONU li ha sfiduciati in anticipo: per sé ha scelto il ruolo della Cassandra.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: