Ricordare Hayek l’anti-Keynes

maggio 8, 1999


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Considero Friedrik von Hayek, di cui oggi ricorre il centenario della nascita, il più grande scienziato so­ciale del secolo. In Italia ta­le merito è assolutamente misco­nosciuto e fa malinconia. La sua battaglia novantennale ha avuto un esito essenzia­le: unire in un blocco logico coe­rente il valore preminente delle scelte individuali su quelle colletti­ve e insieme affermare il loro li­mite. Senza scelte individuali non c’è sistema dei prezzi, dunque non c’è mercato; ma il limite dei nostri atti indivi­duali anche più intenzionali è che a prevalere sono le loro conseguen­ze inintenzionali, ed è impossibile per qualsiasi sog­getto collettivo governare e supe­rare tale limite.

Economia ed epistemologia, psi­cologia e storia delle idee: in ognu­no di questi campi Hayek ha im­presso un’orma di caparbia confu­tazione del mito collettivista cui il nostro secolo ha eretto monumenti lordi, purtroppo, del sangue di mi­lioni di vittime. Confutazione at­tuale, per tre buone ragioni.

La prima ha a che vedere con la negazione che, rivolta ad Hayek, l’Europa continentale ha fatto in realtà di se stessa. Nella Vienna d’i­nizio secolo, i Mises e gli Hayek seppero vedere lontano; ma furono intellettualmente spazzati via dal diffondersi delle utopie collettivi­ste rossa e nera e costretti all’esilio nel mondo anglosassone: alla Lon­don School prima, a Chicago poi. Eppure nell’Europa occidentale, che lo riscopriva dopo il Nobel nel ’73, Hayek dovette difendersi dalle accuse di essere ispiratore intellet­tuale della rivoluzione reaganiana e thatcheriana: cioè di quanto più lontano da sé l’Europa cristiano-sociale e socialdemocratica sentiva e continua, purtroppo, a sentire. Finché dimenticherà che la radice intellettuale hayekiana è nata qui e non nelle praterie del Midwest, l’Europa continuerà a farsi del ma­le: ad avere meno crescita del mon­do anglosassone e a essere meno li­bera.

La seconda ra­gione ha a che ve­dere con gli av­versari di Hayek. Oggi, nessuno o quasi, se si fa ec­cezione per Bertinotti, difendereb­be il comunismo dalla confutazio­ne. di Hayek del ’44 con The Road to Serfdom. Ma resta fortissima la presa delle tesi del grande avver­sario di Hayek, Lord Keynes: in­vestimenti pub­blici come stru­mento per uscire dalle crisi di sot­toconsumo. Non a caso, fu citando Hayek nella cam­pagna elettorale del 45, che Chur­chill perse le elezioni pur avendo vinto la guerra. E la battaglia intel­lettuale di Hayek è ancora da vin­cere in un Paese come il nostro, tut­tora convinto che mano e spesa pubblica siano viatico e non osta­colo a lavoro e benessere.

C’è, infine, una terza ragione. Se l’Europa vuole riunificarsi davvero con i Paesi ex comunisti ancora piegati dalle conseguenze di ses­sant’anni di Ottobre rosso, il terre­no di quest’incontro è sulle idee di Hayek prima che sull’ammontare di investimenti e aiuti. Anatoli Chubais, primo privatizzatore nella Russia di Eltsin, raccontava che od giorni più felici della mia vita li ho trascorsi a leggere Hayek fino a tarda notte». Forse anche oggi qualcuno lo legge allo stesso modo, a Belgrado. Non deludiamolo.

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