Promesse da pifferaio e sospetti di faziosità

giugno 13, 2001


Pubblicato In: Giornali, La Repubblica


Dell’appello contro la faziosità in campagna elettorale, che firmai sul Foglio in marzo, insieme ad Au­gusto Barbera, Luciano Cafagna, Paolo Mieli e Michele Salvati, ri­torna parlare Mario Pirani (Il Ca­valiere e la Giustizia, La Repub­blica, 9 Giugno). Pirani premette che lui pure rifiuta la tesi secondo cui la vittoria di Berlusconi sareb­be una minaccia per la democra­zia in Italia, ci tiene a distinguersi dai demonizzatori; ma accusa coloro che a elezioni avvenute ri­badiscono i temi di quell’appello, di essere degli ingenui che si fan­no abbindolare dal pifferaio Ber­lusconi dimenticando “alcune macroscopiche contraddizioni personali del candidato premier [che] confliggono con principi e nonne di uno stato liberale”.

I fatti che preoccupano Pirani sono essenzialmente due: il con­flitto di interessi e i processi an­cora in corso in cui Berlusconi è imputato. Ma delle due l’una: osi hanno elementi per accusare la magistratura di colpe passate o per sospettarla di indulgenze fu­ture, oppure queste restano personali valutazioni. Lo stesso ra­gionamento vale per il conflitto di interessi: o è colpa di noi parlamentari della passata legislatura non averlo risolto, oppure si deve convenire che una legge risoluti­va, e cioè né assolutoria né aggi­rabile, avrebbe comportato per noi costi politici proibitivi.

C’è quindi una palese contrad­dizione tra le due parti del suo ra­gionamento, tra la premessa e l’accusa: perché non si può da un lato dire che si è contro la demo­nizzazione, che non si ritiene Berlusconi un pericolo per la de­mocrazia, e dall’altro opporgli “gravissimi problemi di compatibilità istituzionale” in nome di argomenti politicamente non utilizzabili: proprio in questo ­- me lo lasci dire l’amico Pirani­ – sta la faziosità.

La ragione per cui avevo firma­to l’appello sul Foglio in marzo era perché lo trovavo corrispo­dente a un posizionamento strategico e a una comunicazione politica volti a conquistare il cen­tro. Non risulta proprio che in campagna elettorale, i miei elet­tori ed i miei avversari abbiano avuto l’impressione di trovarsi davanti un “cresciutello bambi­no di Hamelin” incantato da un “presidente pifferaio”. Spiegavo quello che abbiamo fatto al go­verno, facevo toccar con mano le incoerenze passate degli avver­sari, illustravo la poca credibilità dei loro propositi futuri. Parlavo ai miei elettori dei loro interessi ed alle loro ragioni.

Non diversi erano gli argo­menti con cui Piero Fassino, bat­tendo da mane a sera la pianura padana, è riuscito a rimontare in modo inaspettato lo svantaggio al Nord. Se abbiamo perso, come analizza il Censis, è stato perché non abbiamo saputo conquista­re il centro con argomenti validi e toni convincenti: obbiettivo a cui era funzionale il famoso appello. Se abbiamo perso, non è stato perché non abbiamo a sufficien­za demonizzato Berlusconi; quella “minaccia” non ci è valsa neppure ad ottenere il voto utile a sinistra, mentre ha allontanato non pochi incerti: ha finito per convincere i convinti.

Che cosa autorizza Pirani ad attribuirmi il proposito di archi­viare ogni polemica ora che Berlusconi è stato eletto? Per quanto mi riguarda si rassicuri. Per quanto riguarda noi ds, altro è il rischio che corriamo, quello che ha strappato a Miriam Mafai un grido accorato: “Così muoiono anche i partiti”. Oggi che ci tor­mentiamo coi problemi dei con­tenitori e dei contenuti — per usare la formula cara a Michele Salvati, della linea e del leader, della geometria e dell’aritmetica del centrosinistra, la demonizza­done dell’avversario può indur­re nell’errore di crederla il surro­gato della coesione. Un errore che oltretutto ci svierebbe nel de­finire il programma su cui fonda­re la nostra opposizione e con cui riconquistare il consenso della maggioranza degli italiani: per­ché quel programma dovrà tener conto di cose giuste che loro fa­ranno e respingere cose sbagliate che alcuni di noi riproporranno.

Pirani pensa che entrambi i problemi, quello giudiziario e quello mediatico, “siano ormai solo nelle mani” di Berlusconi e termina: “Domandi scusa ai suoi concittadini (lo ha fatto anche Clinton) e [...] continui a gover­nare libero di scheletri nell’arma­dio”. Che il demonio possa pentirsi, è questione teologicamente controversa. In ogni caso, gli scheletri negli armadi (e le stagi­ste nei corridoi) sono, per chi go­verna, ingombri da cui liberarsi; sono, per l’opposizione, un materiale non abbastanza consi­stente su cui fondare la propria ri­vincita.

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