da Peccati Capitali
Perché le opere d’arte contemporanea attirano compratori alle aste e visitatori alle mostre, e invece la musica classica contemporanea è dai più considerata indigesta? Perché un quadro di Jackson Pollock è il più costoso del mondo, e invece un pezzo di musica dodecafonica viene infilato tra un Bach e un Brahms, anziché nell’ordine cronologico, per evitare il fuggi fuggi? Non è forse, insinua Alex Ross su Repubblica, perché ad essere sbagliato è il modo con cui ci si avvicina alla musica “classica”, quasi fosse una fonte di bellezza consolatoria? E immagina l’ira di Beethoven se avesse saputo che “la sua musica sarebbe stata diffusa nelle stazioni ferroviarie per sedare i pendolari e allontanare i delinquenti”.
Azzardo una spiegazione: un quadro lo percepiamo tutto intero in un solo colpo d’occhio, mentre per l’ascolto musicale è essenziale trattenere nella memoria quello che si è sentito prima. La musica si svolge nel tempo. Le forme della musica “classica”, dalla fuga alla variazione, dalla sonata all’opera wagneriana, sono costruite in modo da rendere facile trattenere nella memoria melodie e ritmi, e consentire così di seguire le loro metamorfosi. Questi procedimenti apparvero, all’inizio del ‘900, stucchevoli: la risposta fu la musica dodecafonica, in cui il discorso musicale si svolge secondo modelli più astratti, tanto che a volte la lettura della partitura deve venire in aiuto all’ascolto.
Ogni opera d’arte è in qualche modo la negazione di quelle precedenti: nel caso di molta musica scritta per buona parte del secolo precedente, la negazione riguarda proprio il modo di ascoltarla.
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Luigi Spaventa
13 annoe fa
E’ ben più facile, meno faticoso e mondanamente più appagante emettere gridolini di gioia davanti a un quadro, incomprensibile, che non prendersi in testa, seduto insieme a molti, una mezz’ora di incomprensibile Stockhausen (per dirne uno tutto sommato facile). E poi il falso è possibile per un quadro, ma non per un pezzo di musica (a prescindere dal fatto che un non tecnico non distingue un contemporaneo da un altro).
Luigi
Galeazzo Scarampi
13 annoe fa
Franco:
In una prospettiva da Lewis Carroll ti offro un argomento totalmente rovesciato:
Il valore annuo delle opere d’ arte vendute all asta varia molto, cosi come varia la stima di quanto le aste rappresentino sul totale del mercato, mi pare comunque che il range vada fra US$ 10 e 40 billions all anno. Tu forse hai dati piu’ precisi.
I ricavi annui della musica –vedi allegato – sono di circa US$ 40 billion, egualmente diviso fra “live performance” e riproduzioni.
Il mercato della musica muove molti piu’ soldi che quello delle “visual arts”, dato che esiste un mercato indotto (apparecchi, pubblicita’ e merchandising) e che la produzione annua scambiata sul mercato di musica e’ molto superiore a quella delle visual arts. Nota che gli scambi di visual arts rappresentano per la maggior parte opere “vecchie” (e.g. Pollock). Uno e’ un flusso (musica) mentre l’ altro e’ un capitale (visual arts).
Il punto e’ semplicemente che una opera di visual arts costituisce uno “store of value” (capitale) piu facilmente dei diritti musicali.
Il proprietario di una opera di visual arts non deve pagare diritti d’ autore, mentre I diritti di proprieta’ intellettuale sulla musica sono una nota giungla, che limita la sua trasferibilita’ senza peraltro proteggere l’ autore da duplicazioni.
Che poi la Classica sia per pochi lo sappiamo!
Un caro saluto,
Galeazzo
Investing in music
Stefano W. Pasquini
13 annoe fa
Ciao, devo dire che malgrado l’ignoranza implicita (senza offesa eh?) della domanda questo piccolo articolo da’ veramente da pensare: mi fa piacere che sia apparso su Vanity Fair e allo stesso tempo, sarebbe bene parlare di più della “distanza” che c’è tra il pubblico e le arti, siano esse la musica contemporanea o l’arte contemporanea. La spiegazione azzardata non mi convince, ovvero non credo che qualcuno possa realmente apprezzare Pollock senza aver studiato un minimo di arte moderna. Certo, si puo’ dire “mi piace” o “non mi piace” ma lo stesso vale per un minuto di un’aria di Tan Dun. Ottimo anche l’intervento di Galeazzo, che ci fa capire che il mondo dell’arte in realta’ è elitario e alla fine non muove tanto denaro quanto quello della musica (pop, immagino). Certo è che trattare questi temi, cercare di alleggerire l’elitarietà delle espressioni contemporanee farebbe bene a tutti, soprattutto alla bassa cultura televisiva italiana.