Perché non credo nelle primarie

novembre 29, 2002


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Il desiderio dei militanti di votare non rende il metodo né efficace né democratico

Se scommettete su quale ragazza vincerà il concorso di bellezza, ammoniva John Maynard Keynes, non puntate su quella che vi piace di più, ma su quella che ritenete piacerà di più agli esaminatori. Il ragionamento si applica anche quando si deve scegliere non “la più bella del reame”, ma il candidato alle prossime elezioni politiche. Il metodo delle primarie, che gode di grande popolarità nella sinistra soprattutto in quella ulivista, passerebbe il test di Keynes o no?

Prima domanda: perché uno dovrebbe voler votare alle primarie? E’ noto il paradosso del votante: votare costa tempo per informarsi, per recarsi al seggio, ecc.; il vantaggio che ogni singolo elettore può attendersi dal suo voto è infinitesimo; quindi in teoria nessuno dovrebbe andare a votare. Se ciò non accade é perché al calcolo razionale si contrappone la soddisfazione di esprimere la propria volontà. Questo nelle elezioni politiche, quelle in cui l’elettore indica da chi vuole essere governato. Quando, come nelle primarie, si indica il candidato che correrà per il proprio partito, la bilancia tra ragioni di interesse e motivazioni alla autoespressione é tutta spostata su queste ultime. Dato che non si sceglie chi ci governerà, le ragioni di interesse praticamente non esistono, conta solo la voglia di manifestare la propria identità politica. E’ quindi logico che alle primarie si presentino in pochi, e molto motivati.
Secondo: chi ha diritto a votare alle primarie? Di solito, per evitare abusi o rischi di manipolazioni, si chiede di registrarsi, eventualmente versando un piccolo contributo. In tal modo si introduce un elemento che ulteriormente riduce il numero dei partecipanti e favorisce ulteriormente la selezione a favore dei più politicizzati. Corollario: poiché nelle primarie non è determinabile il numero degli aventi diritto, per definizione nelle primarie non esiste l’astensione, che è invece anch’essa l’espressione di una volontà politica di cui si deve tenere conto.

Conclusione: l’insieme di chi partecipa alle primarie non é un campione significativo dell’insieme di chi ha diritto di partecipare alle elezioni; il risultato delle primarie non può in alcun modo essere preso come un sondaggio indicativo delle preferenze degli elettori. La probabilità che la differenza tra risultato delle primarie e risultato di un sondaggio sia elevata, é tanto maggiore quanto meno omogeneo é l’insieme di tutti gli elettori quanto a preferenze verso i candidati. Se poi la propensione a partecipare alle primarie é positivamente correlata alla preferenza per un determinato candidato, aumenterà ancora la differenza tra il profilo politico del candidato che raccoglie i maggiori consensi alle primarie, e il profilo di quello che può raccogliere i maggiori consensi nelle elezioni. In questo momento a sinistra si constata: poca omogeneità, profonde divisioni di natura ideologica; forte correlazione tra ben identificabili scelte ideologiche e preferenze politiche e propensione a votare alle primarie. Ci sono dunque tutte le condizioni perché il tipo di ragazza su cui punteranno quelli che assistono al concorso (cioé che votano alle primarie) sia molto diverso da quella che selezioneranno i giurati ( cioè gli elettori). In realtà il gioco é ancora più complicato del modellino di Keynes: perché qui chi scommette non si accontenta di scegliere tra ragazze selezionate da altri, ma vuole fare lui anche la selezione. E questo desiderio, di per sé assolutamente legittimo, non fa però delle primarie un metodo né efficace, né efficiente, né “democratico”.

Non é efficace: perché per scegliere il candidato con maggiori probabilità di vincere bisogna spogliarsi delle proprie preferenze personali, per concentrarsi invece a cercare di prevedere le reazioni degli elettori; i quali probabilmente sono più numerosi di un ordine di grandezza dei simpatizzanti, e di due ordini di quanti partecipano attivamente alla vita politica. Questa obbiezione non è certo condivisa da quelli secondo cui scopo dell’azione politica non é vincere le elezioni, ma preservare la propria identità e testimoniare le proprie convinzioni. Lo so, dato che sovente mi è stato ricordato, anche con qualche ruvidezza, dai giornali della sinistra. Qui importa notare come questa visione dell’attività politica sia particolarmente diffusa tra coloro che sostengono il metodo delle primarie.

Non é efficiente: perché manca di un sistema premi punizioni. Se la scelta é stata sbagliata, chi ha votato alle primarie paga solo con la propria delusione. Al contrario un politico che sbaglia la scelta paga, o dovrebbe pagare, con la propria carriera. Egli ha dunque un incentivo razionale e non solo emotivo a scegliere il candidato giusto. Il sistema elettorale uninominale maggioritario potrebbe far pensare ad analogie con le primarie americane. Ma l’analogia è fuorviante. Quel che fa la differenza è che lì le primarie si applicano a un sistema bipartitico. Dunque misurano l’influenza dei diversi covenant di un medesimo partito all’interno di una stessa costituency. in caso di sconfitta elettorale del candidato prescelto, scatta in maniera inesorabile l’inevitabile diminutio – a livello locale, e nel partito – del covenant che aveva indicato il candidato. Da noi, con coalizione multipartitiche, le primarie inevitabilmente misurerebbero invece l’influenza dei diversi partiti dell’alleanza. E in caso di confitta è inevitabile che non scatti alcuna responsabilità, potendosi attribuire l’esito alla molteplicità contraddittoria dei comportamenti degli alleati.

Non é “democratico”: a dispetto dell’apparenza. La sovranità é nel popolo degli elettori, non nel popolo delle primarie. Quello di poter scegliere da chi essere governati é un diritto: se il candidato che esce dalle primarie é diverso da quello che potrebbe avere il voto della maggioranza, la conseguenza per lui é che verrà bocciato, ma per gli elettori è di trovarsi privati del diritto ad essere governati da un candidato a loro gradito.

E’ comprensibile che le primarie possano acquisire grande importanza agli occhi di chi oggi a sinistra intende innanzitutto scrivere “regole dello stare insieme”, per risolvere il travaglio dei conati cui assistiamo da un anno e mezzo a questa parte. E’ legittimo chiedere che la selezione del candidato sia fatta in modo efficiente e trasparente. Le primarie solo in apparenza soddisfano queste esigenze. Vincere le elezioni, con chiari meccanismi di responsabilità in caso di sconfitta, è però tutt’altro paio di maniche.

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