Perchè non credo nel governo ombra

giugno 1, 1994


Pubblicato In: Varie


Con sempre maggiore frequenza, la formazione di un governo ombra viene proposta sia come generico ricostituente per l’astenia e la sindrome depressiva della sinistra, sia come specifico rimedio polivalente: per dotarla di una cultura di opposizione, per far nascere un nuovo soggetto politico, per fare emergere una nuova leadership. Governo ombra nella accezione classica derivata dal mondo politico inglese, è tale perché segue come un’ombra i passi del governo vero, tallonandolo con controproposte in ogni sua mossa. Alla parola governo si associa l’idea di una struttura organizzata, stabile, visibile: dar vita a un governo ombra è quindi cosa diversa dall’individuare specializzazioni e competenze su argomenti specifici, quali già si formano nei lavori delle commissioni parlamentari.

Così precisata, quella del governo ombra non sembra essere la soluzione dei problemi che vorrebbe affrontare: per una serie di motivi.
1. Un governo ombra presuppone un’opposizione compatta. Nell’ attuale situazione avremmo probabilmente un governo ombra che si ‘regge’ sull’astensione tecnica (ombra) dell’estrema sinistra e che avrebbe al suo interno un’opposizione (ombra, ancorché ovviamente costruttiva, in omaggio alla recente retorica) dei popolari. Ciò riproporrebbe, sub specie divisione di competenze, il tormentone del coordinamento tra Pds e ‘altri’ , che non si può dire che abbia avuto recentemente esiti edificanti: in entrambi i significati del termine.
2. Governo è espressione tipicamente parlamentare: anche se rinforzato con elementi esterni, sarebbe costruito prevalentemente su figure già presenti in parlamento, in contraddizione con il proposito di fare emergere personalità nuove; mentre è facile invece prevedere che sarebbe condizionato dalle ambizioni di quelle esistenti.
Proprio per essere ombra del governo vero, l’opposizione sarebbe costretta e seguire, sia pure a esse contrapponendosi, le scelte strategiche della maggioranza, perdendo la possibilità di iniziativa autonoma, di ‘sparigliare il gioco’, per usare l’espressione cara a Rutelli. Mentre il governo ve ro è costretto a misurarsi con la realtà da cui riceve continuamente dei riscontri, le proposte virtuali del governo ombra rimarrebbero senza riprova. Alla sinistra viene sempre chiesta una dimostrazione in più della sua capacità di governare: essa si troverebbe ancora un volta costretta tra l’alternativa di essere accusata di massimalismo e di astrattismo, e quella di farsi eccessivamente carico dei vincoli, così come è avvenuto in campagna elettorale. Sogni e miracoli sono, almeno per ora, consentiti solo alla maggioranza.
4. Un governo ombra caratterizzerebbe in modo centralistico l’attività dell’opposizione. La proposta suona quindi contraddittoria proprio in bocca di chi giustamente sostiene che invece nelle realtà municipali debbano formarsi le organizzazioni, lì debbano affiorare temi e problemi, da lì debbano emergere nuove leadership.
Agli obbiettivi di cui si diceva all’inizio pare invece più funzionale lavorare su progetti, su temi a carattere mono-grafico. Questi, avendo un orizzonte meno globale che una linea politica completa, meno si prestano a contrapposizioni. Si possono scegliere temi su cui ampio possa essere il consenso, che consentano il formarsi di alleanze diverse di volta in volta: queste, meno condizionate da vincoli di appartenenza, potrebbero perfino estendersi a settori della maggioranza (per esempio su qualcuna delle declinazioni possibili del tema federalismo, o del conflitto di interessi).
Lavorare per progetti consente di coinvolgere persone che non siedono in parlamento, in modo assai più esteso e variato che non nell’ipotesi di un governo ombra, facendo emergere nuovi leader; coinvolgendo anche i responsabili di un eventuale percorso parlamentare non si corre il rischio dell’astrattezza dei centri studi. Più ampio diviene l’apporto di idee, organizzazioni, persone sparse sul territorio. Se proprio è necessario ricorrere a modelli di sistemi bipartitici, converrà ricordare che non esiste solo quello del governo ombra di Sua Maestà, ma anche quello americano, dove i temi delle future piattaforme programmatiche si formano, tra un’elezione e l’altra, proprio in ambito locale, e solo ulteriormente vengono sistematizzati e assunti a livello centrale.
È necessario ovviamente scegliere i temi, e quindi individuare il target: c’è ormai larga concordanza che questo sia rappresentato da quella borghesia delle professioni, dei commerci, di chi lavora nelle piccole e medie aziende, che vuole contare e chiede di poter scegliere, le cui aspirazioni e interessi sono stati facilmente intercettati, ma meno facilmente potrebbero venir soddisfatti dall’attuale maggioranza.
Soprattutto è necessario, e proprio fin dalla scelta dei temi, ricordare che il successo di Berlusconi è dovuto anche a una straordinaria coerenza tra messaggio e modo di comunicarlo. La battaglia per garantire un accesso libero ai mezzi di comunicazione di massa è sacrosanta, ma la sinistra deve riconoscere che ha perso non perché (questa volta) non aveva accesso ai mezzi di comunicazione, ma perché non ha saputo usarli; e quindi ricordare che i temi devono essere selezionati ponendo mente fin dall’inizio alla definizione di come comunicarli. Si riconosce che questa è la parte meno risolta della proposta: come ciascuno può constatare.

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