Perché è illogico il protezionismo statalista (targato Eni) su SnamReteGas

maggio 25, 2012


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Sono quattro i consorzi che si contenderanno Open Grid, la rete di gasdotti tedeschi ha messa in vendita da E.ON: c’è la belga Fluxys, con il fondo statunitense Global Infrastructure Partners e la Caisse de dépot et placement du Québec; l’olandese Gasunie con Allianz e Canadian Pension; l’australiana Macquarie con Abu Dhabi Investment Authority e British Colonial; GdfSuez con Cnp Assurances e Ifm Australian Infrastructure Fund. SnamReteGas non ci sarà.

Per essere un soggetto attivo in quella partita arriva in ritardo, dato che è l’oggetto passivo di un gioco diverso, dove la posta non è conquistare ma evitare di poter essere conquistati. C’è poi la diatriba se si debba vendere l’azienda o distribuirne le azioni: sembra logico che sia l’azienda a vendere l’impresa che ha creato, e l’azionista a esercitare in assemblea i suoi diritti sulla formazione dell’utile e la sua distribuzione. Questione in è non banale, ma anche questa complicata dalla pregiudiziale per cui il controllo di SRG deve essere e restare italiano. Un problema inesistente, che non ha nessun fondamento logico.

Che cosa si teme? Che la nuova proprietà delocalizzi? Ma i tubi son lì sotto terra, e sopra ci sono i clienti italiani: sarebbe senza senso discriminare gli uni come dissotterrare gli altri. Investimenti, prezzi? Trasporto e stoccaggio di gas sono attività regolate dall’Autorità, che approva gli investimenti e li remunera tenendo conto della loro utilità ai fini di eliminare strozzature e colli di bottiglia.

Che i tubi vengano acquisiti da un fornitore di gas, che potrebbe avere interesse a danneggiare i concorrenti, riproducendo, senza il passaporto italiano, quello che l’Eni avrebbe fatto per anni? Ma la legge italiana dal 2011 vieta questa verticalizzazione, e se qualcuno pensasse di aggirarla, tra Autorità di settore, Antitrust, Consob, ministero, Parlamento e magistratura sarebbe una gara a convocare, ammonire, minacciare, sanzionare, audire, sequestrare. Che la comperi qualcuno che non ci piace? Contro acquirenti extra-comunitari si può sempre impugnare la golden share. Dovrebbe essere possibile usarla anche verso i fratelli comunitari, qualora l’acquirente fosse a controllo pubblico. Nessuno di coloro che dànno per scontato che il controllo debba restare in mano italiana descrive una sola circostanza in cui la perdita del controllo potrebbe esserci di danno.

Reali e presenti sono invece i danni che questa pregiudiziale ci procura. Dei ritardi che ha provocato si è già detto. L’esigenza del controllo pubblico restringe il numero dei compratori, diminuisce il valore dell’azienda, dal momento che è lì proprio per renderla non contendibile; seleziona ex ante compratori con strategie opportunistiche anziché imprenditori con ambizioni di sviluppo; consente (non oggi, che queste cose non si fanno più, ma in futuro, chissà) che la politica interferisca esigendo politiche accomodanti e imponendo personaggi obbedienti. Con qualunque fantasia tremontiana le si voglia contabilizzare, in qualunque catena cuccesca le si voglia inscatolare, saran sempre pubbliche le risorse impegnate a garantire il controllo. E vogliamo farlo proprio in un momento in cui, nei riguardi di imprese e individui in difficoltà, si proclamano l’inderogabile necessità, l’imprescindibile esigenza, la doverosa considerazione?

La fissazione del controllo dà argomenti ai burocrati che spacciano per logica industriale la propria comodità di ridurre il numero dei reporting, e che, rovesciando la massima giustinianea, pensano che le cose siano consequentia dei nomi: se si chiaman reti, saran ben la stessa cosa. Invece le aziende vivono nei mercati, e il mercato dell’elettricità è diverso da quello del gas, ed entrambi lo sono da quello delle comunicazioni, ed ancor più da quello dell’informazione.

L’elemento unificante non è la platonica idea di rete, ma la concreta interconnessione europea. Europa significa eliminazione delle barriere ai movimenti di persone, beni, capitali: a maggior ragione ad elettroni e molecole. L’interesse nazionale è far sì che le nostre reti siano parti del sistema di reti europee, senza che vi si oppongano orgogli nazionalistici.
Queste reti europee saranno formate da una pluralità di aziende, con una pluralità di assetti proprietari: ma, come si vede
dal caso SRG, la proprietà pubblica rende l’interazione molto più difficile, perché introduce vincoli e obbiettivi che con l’efficienza di funzionamento non hanno nulla a che vedere: e non può che essere così, se no non se ne capirebbe il perché. I nostri operatori, Terna e SRG, hanno dimensioni e competenze tecniche per giocare un ruolo non subalterno in Europa. E’ paradossale che proprio negli stessi giorni in cui in Germania si dimostra che le reti stanno diventando delle utility regolate che attraggono capitali in cerca di un sicuro flusso di cassa, noi invece ci si muova nella direzione opposta.

E’ contraddittorio che lo faccia un governo che più di altri ha il mercato europeo e la concorrenza europea nei propri geni.
E’ inspiegabile che si pongano pregiudiziali per partecipare al controllo di nostre aziende a quanti – in Europa ma non solo – si chiede di comperare o garantire i nostri debiti.

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