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→  giugno 5, 2021


Gli apprezzamenti e le critiche alla proposta di Enrico Letta di aumentare l’aliquota della tassa di successione sono stati perlopiù rivolte da un lato al prelievo fiscale in sé, dall’altro al beneficio che esse andrebbero a finanziere; nell’ipotesi, quindi, del coeteris paribus, assumendo cioè che prelievo e destinazione non modifichino aspettative e comportamenti degli operatori, con conseguenze sull’economia generale.
Secondo la teoria economica standard la crescita dipende da un progresso tecnico prevalentemente esogeno. Per Schumpeter il motore primo della crescita sono le invenzioni, Per il Nobel Edmund Phelps invece le società moderne dal 19esimo secolo in poi si sono sviluppate perché anche la gente comune è capace di avere idee originali che possono avere applicazioni commerciali: c’è infatti una dimensione esperienziale ella moderna economia per cui vedere realizzata una propria idea dà alle persone il senso di fare qualcosa di diverso e di nuovo. Sperimentare, imparare dagli errori, curiosità, coraggio di fallire sono i caratteri dell’economia dell’innovazione.

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Pubblicato In: Giornali
→  maggio 25, 2021


Il tweet del giorno

Ai nipoti che dovranno pagare l’imposta di successione sui beni che gli lascerà il nonno, i 10.000€ glieli diamo o li tratteniamo come acconto?
@pdnetwork #Agorà #Prossima


Pubblicato In: Giornali, Varie
→  maggio 24, 2021


Rubrica IBL.
Franco Debenedetti parla di economia, mercato e Stato.


Pubblicato In: Audio/Video
→  maggio 15, 2021


“Il ritorno dello Stato” è quest’anno il titolo del Festival dell’Economia di Trento. Per il suo direttore scientifico Tito Boeri, l’uscita dall’emergenza è l’occasione “per analizzare cosa è accaduto in un anno che ha visto lo Stato esercitare un ruolo primario nella vita dei cittadini”. Una ventina delle conferenze ne trattano in modo esplicito, da “Il ritorno dello Stato e la fine del neoliberismo” di Joseph Stiglitz, al – si licet parva – “Fare profitti, etica dell’impresa” del sottoscritto.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  maggio 15, 2021


Caro Direttore,
“la trasformazione cosmetica dei populisti”: senza avere la tua genialità di trovare le parole per esprimerlo, è quello che pensai partecipando, in remoto, a un lunch talk con Luigi di Maio. La sua lettura dell’introduzione conferma che lo staff della Farnesina non ha bisogno di cosmesi. Nessuno si aspettava le visioni di uno statista: ma le risposte alle domande dei commensali, ospiti educati ma per nulla virtualmente inginocchiati, hanno rivelato un perfetto giovane e volonteroso sottosegretario: che a studiare si impari stupisce solo se a dimostrarlo è proprio chi voleva convincerci che uno vale uno. E poi: chi c’è oltre a lui (Sileri non ha bisogno di metamorfosi)?

I populisti “non fanno più paura”: ma dànno speranza? Non basterebbe neanche che spegnessero tutte e cinque le loro stelle: bisognerebbe che splendessero di una luce diversa. E chi glielo dice a quelli che li hanno votati? Nelle mie campagne elettorali, andavo nelle sezioni che erano state comuniste a spiegare perché bisognava abolire l’art.18: uscivo e i segretari gli dicevano che servivano i voti di chi la pensava come me per battere Berlusconi. Ma la rivoluzione liberale a destra non c’è stata, e a sinistra non è bastata.

E se non l’hanno imparato loro, chi insegnerà ai populisti che la scuola è per gli allievi e non per i sindacati, che salvare le aziende zombie è sprecare soldi e non risolve i problemi, che nella PA si entra per meriti e non per anzianità da precario, che solo la concorrenza produce efficienza e la proprietà pubblica la riduce, che il golden power esteso a tutti i casi ci porta all’autarchia e all’isolamento?

Certo che è meglio se, come Marine Le Pen, si schierano con Israele (costa anche poco, non ci sono israeliani sui barconi). Ma a salvare questo Paese, la trasformazione non basta che sia cosmetica: e neppure che riguardi solo loro.


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  maggio 11, 2021


Al direttore.
Che sulla testa dei paesi poveri si giochino partite che riguardano gli equilibri politici di quelli ricchi non è una novità. Succede negli Stati Uniti, dove la retorica dei vaccini-bene-comune, per cui le aziende che hanno inventato i vaccini contro il Covid devono rendere disponibili le loro invenzioni gratuitamente a tutti, è usata come ammonimento a Big Pharma nelle negoziazioni col governo sui prezzi per le forniture di farmaci in generale. Iniziativa colta al balzo in Europa da chi vuole segnare un punto nella battaglia per “reset il capitalismo”, e coprire le proprie magagne “erogando e welfareggiando a più non posso”, per dirla con l’elefantino. Sarebbe meno “virtuoso” ma più efficace ricordare che in un mondo che comunque è diventato globale, per raggiungere l’immunità di gregge deve vaccinarsi il mondo intero.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio