Orrori a confronto

maggio 21, 2004


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Dietro le foto di Abu Grahib

“L’America ha un problema di immagine nei confronti del Medio Oriente: questo non ha certo bisogno di essere dimostrato”. Così Fareed Zakaria sull’ultimo numero di Aspenia. Quanto le fotografie uscite dal carcere di Abu Graib abbiano peggiorato quell’immagine, potrebbe addirittura essere quantitativamente misurato. L’effetto più devastante, tra i popoli musulmani, penso l’abbiano avuto proprio le fotografie meno trucide, quelle che, più che le sofferenze dei prigionieri iracheni, mostrano l’irridente indifferenza dei loro carcerieri.

C’é un aspetto “debosciato” (l’aggettivo é di Philip Stephens del Financial Times), sado-pornografico, da periferia degradata, in quelle immagini: per Bin Laden, e per la sua predicazione, sono la prova provata che l’Occidente è corrotto e corruttore, senza valori, incompatibile con l’Islam tradizionale. Nel suo mirino ci sono prima di tutto i governi musulmani moderati e quelli compromessi con l’Occidente. “Al Qaeda – scrive André Glucksmann – mobilita i figli di buona famiglia reclutati negli strati più occidentalizzati dell’Arabia e dell’Egitto. Bin Laden imbroglia, Oriana Fallaci e Samuel Huntington si sbagliano quando evocano un conflitto di civiltà o una guerra di religione. Il terrorismo integralista non è un arcaismo ereditato da un passato remoto. Gli angeli sterminatori sorgono a livello planetario dalla faccia oscura, massacratrice e nauseabonda della nostra ipermodernità”. La ragione per cui siamo in Irak, e per cui persone come me sostengono che non possiamo abbandonare l’Irak, è proprio il progresso e la modernizzazione del Medio Oriente, unica soluzione permanente al terrorismo islamico. In quest’ottica, quelle foto sono un errore strategico imperdonabile, e di incalcolabili conseguenze, più ancora delle immagini delle torture “vere”, intollerabili alla nostra coscienza ma tragicamente vicini all’esperienza della popolazione irakena dopo decenni di feroce dittatura di Saddam Hussein.

C’é quindi una differenza radicale tra le immagini della soldatessa col guinzaglio e del caporale in posa e quella della barbara esecuzione di Nick Berg. Differenza nell’unico modo che faccia senso, e cioè tra gli effetti delle immagini: perché non ci sentiamo provvisti dello strumento per stabilire una graduatoria dell’orrore.
Che effetto ha il film della decapitazione dell’americano? Sui popoli arabi probabilmente nessuno, tranne che su qualche fondamentalista, già invasato di suo. Per noi occidentali, non aggiunge nulla agli autobus sventrati dai kamikaze, ai cecchini che sparano dai tetti degli ospedali, ai miliziani che si fanno scudo di donne e bambini: ma se avesse l’effetto di indurre qualcuno a pensare che questo è uno scontro di civiltà, l’obbiettivo strategico della nostra presenza in Irak – conquistare le menti e i cuori dei musulmani moderati – si allontanerebbe.

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