Nella nuova Autostrade nessuno sa niente di autostrade

luglio 16, 2020


Pubblicato In: Giornali, Huffington Post


Cdp non dispone di risorse specialistiche sulla gestione del rischio e anzi viene ad avere lo stesso conflitto di interessi tra fare profitti e fare manutenzione che veniva imputato ad Atlantia

Roma locuta, causa finita? Non proprio, anzi c‘è il rischio che nella “soddisfazione generale” per l’accordo su Autostrade, resti insoluta la questione principale, che non è più quella economica, su cui pare si sia raggiunto l’accordo.

Di grandi disastri, non dovuti a cause naturali, ne sono capitati altri, penso alla Exxon-Valdez, o alla Deepwater Horizon, e prima al Bhopal. Tutti sono riconducibili a una inadeguata valutazione del rischio: ormai si è imparato che la prima cosa da fare, oltre a contenere o rimediare ai danni, è rivedere come e da chi nell’azienda viene accertato il rischio, e a che livello delle strutture gestionali e societarie vengono portate le relative segnalazioni. Questo è quello che l’azionista avrebbe dovuto fare e il governo pretendere da subito.

Su tutte le altre istanze invece ha prevalso la necessità di difendersi dal giudizio della piazza e dalla richiesta di una condanna sommaria: sta di fatto che non ha neppure iniziato a farlo. Bisogna farlo adesso: in questo senso la causa non è finita.

Chi ha le competenze per mettere in piedi questa gestione del rischio? Evidentemente non le strutture di ASPI, che sono oggetto della revisione. Neppure quelle di ANAS, che anzi, stando a recenti disavventure, avrebbero molto da imparare. Ma neppure CDP, che non ha ragione per disporre di simili risorse specialistiche; e che anzi, entrando nel capitale, viene ad avere lo stesso conflitto di interessi tra fare profitti e fare manutenzione che veniva, a torto o a ragione, imputato ad Atlantia.

Bisogna quindi ricorrere a consulenti esterni, di cui c’è gran numero, soprattutto da quando l’analisi dei rischi aziendali è diventata l’elemento centrale per gli investimenti in aziende che rispondono ai criteri ESG, Environmental, Social, Governance. Una asset class che dovrebbe diventare ancor più diffusa dopo il Covid-19.

Proprio la presenza di CDP nella compagine azionaria rende questa riforma della struttura aziendale più che mai necessaria: la credenza diffusa, non solo tra cascami della vecchia sinistra e virgulti del nuovo populismo, che la partecipazione pubblica abbia il salvifico effetto di evitare i “fallimenti di mercato” a cui porterebbe inevitabilmente la ricerca del profitto del capitale privato, porterebbe ad abbassare la guardia.

Invece è vero proprio il contrario: se c’è stata responsabilità di ASPI, c’è stata anche quella delle strutture governative che avrebbero dovuto controllare l’operato del concessionario. Se, come si è detto nella “generale soddisfazione”, ASPI verrà quotata, e CDP farà largo spazio ad altri investitori, saranno proprio questi a esigere che i rischi siano adeguatamente valutati, che esista a livello di consiglio di amministrazione un comitato valutazione rischi, costituto in maggioranza da amministratori indipendenti: sarà quindi il capitale privato a proteggere dai rischi le nostre autostrade, e magari l’esempio si diffonderà anche ad altre strutture governate dal pubblico.

ASPI dovrebbe cercare di ottenere la qualifica di azienda ESG. Anche perché, con il controllo della velocità, la riduzione della resistenza al rotolamento, il taglio delle distanze, il diffondersi dello sharing, le autostrade possono dare un contributo importante alla riduzione delle emissioni.

Per molti, compreso chi scrive, rimane la convinzione che nella esasperata politicizzazione, la “generale soddisfazione” si sia ottenuta e prezzo di una ingiustizia nei riguardi della proprietà di ASPI. Quando l’asta al rialzo dei ricatti arriva al punto di minacciare la caduta del governo, un grande gruppo industriale, quale è quello dei Benetton, deve sapere quando è il momento di rinunciare alle proprie richieste per evitare un danno immenso per tutti.

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