Meno tasse, più investimenti privati

novembre 26, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

“La sinistra non deve copiare al contrario l’errore dei conservatori, che troppo frequentemente hanno enfatizzato il primato delle riforme di struttura rispetto al ruolo delle politiche macroeconomiche nel promuovere la crescita”.

Quando, il 9 Novembre, Dominique Strauss-Kahn leggeva queste parole al 15esimo anniversario del CEPR, l’ammonimento è suonato quanto mai opportuno: quanto a enfasi politiche macro, le sinistre europee non avevano avuto la mano leggera.

Richieste alla BCE di abbassare i tassi, di modificare il proprio statuto per comprendervi obbiettivi di sviluppo; rivendicazione del potere dei governi sulla politica del cambio; proposte, variamente giustificate, di rilassare il patto di stabilità. Poi fu la BCE col difendere con fermezza i propri statuti; fu ancora il ministro francese dell’economia con l’ammonire che il riprodursi della sindrome Reagan-Volcker (politica di bilancio accomodante e politica monetaria rigida) avrebbe spinto il cambio euro-dollaro a livelli proibitivi: la valanga sembra essersi fermata, Lafontaine é stato costretto ad una brusca inversione di rotta.

Si sconti pure il fatto che politici e banchieri hanno propri obbiettivi istituzionali e personali, il surplace per posizionarsi nel modo più favorevole per la corsa dell’euro: ma quello seguito alla vittoria dei socialdemocratici in Germania è stato uno spettacolo sconcertante. Da noi è stato “bizzarro”: a prendersela con Fazio, colpevole di avere a suo tempo ammonito sui rischi di una corsa ai parametri troppo veloce e di un’introduzione di modifiche strutturali troppo lenta, sono stati proprio quelli che ora chiedono di rilassare i parametri e dilazionare i termini.

Resta l’altra componente del mix indicato da Strauss-Kahn, e cioè le riforme di struttura: queste sono invece soggette al solo giudizio dell’opinione pubblica e investono il più fondamentale dei rapporti tra cittadini e Governi, quello fiscale.
Su due di queste opzioni si intende qui attirare l’attenzione: l’armonizzazione fiscale e la politica di investimenti.

L’armonizzazione fiscale proposta da Lafontaine –chiudere i paradisi fiscali e spostare il carico fiscale dal lavoro alle imprese – sono “oggettivamente” un salvagente allo stato sociale più generoso e più costoso d’Europa. Molti tedeschi ritengono che in questo risieda la causa principale dei loro problemi; adeguarvisi sarebbe certamente suicida per un paese con la nostra struttura industriale e finanziaria, con la nostra amministrazione pubblica, con il nostro Mezzogiorno.

Al contrario, solo dalle differenze possiamo trar vantaggio; dobbiamo opporci ad ogni misura volta a rendere uniforme nella zona dell’euro il costo dei fattori, e a chiudere l’Europa su se stessa. Questo, dispiace dirlo, vale anche per il piano di armonizzazione fiscale del Commissario Monti. E dato che gli inglesi ci darebbero manforte, dobbiamo favorire in ogni modo l’ingresso del Regno Unito nella zona dell’euro.

Investimenti: finanziare investimenti pubblici a pressione fiscale inalterata, o a far pagare meno imposte alle imprese perché investano di più?
Nel piano Delors c’erano ferrovie, aeroporti, reti di comunicazione. Cosa é avvenuto nel frattempo?

Alta velocità: non é grazie al piano che alcune tratte si stanno costruendo, non é per mancanza di soldi che altre non vanno avanti.
Aeroporti: si é riusciti a far sì che un aeroporto da 2000 miliardi abbia dato a Milano collegamenti che per anni costeranno più tempo e più denaro di prima.
Le “reti neurali”: a Milano ci sono 8 o 9 aziende che hanno fatto domanda per ottenere permessi per installare reti cablate. Stanno aspettando. Restano i tunnel di base da 50 km. Il Gottardo già se lo fa la Svizzera, il numero di tunnel che si possono scavare é limitato. Se tutto si ridurrà a due buchi sotto le Alpi, il piano Delors si confermerà l’“azione parallela” dell’Europa socialdemocratica.

Il problema é come e da parte di chi scegliere tra investimenti concorrenti, come assicurarsi che il loro rendimento sia superiore la costo del danaro per realizzarli. Perché mai le amministrazioni pubbliche dovrebbero disporre delle informazioni necessarie per prendere queste decisioni meglio dei privati che si basano sul sistema informativo del mercato e dei prezzi?
“Si può guardare la futuro con una certa serenità.
Ora ci si deve occupare della modernizzazione del paese, che passa attraverso la riforma della pubblica amministrazione”, confida Vincenzo Visco sul Corriere della Sera di domenica: così. Della serenità non saprei dire, ma di un paio di certezze sì. Primo, che la pubblica amministrazione si riforma solo per ablazione, riducendo gli spazi che occupa (dalla scuola all’energia alle piattaforme satellitari): e che per obbligarla a ritirarsi bisogna tagliarle i fondi. Secondo, che la modernizzazione non può aspettare quella riforma, deve necessariamente passare attraverso la strada dell’iniziativa privata. Non dipende solo da lei, ma fa parte del suo ruolo sentirselo dire: meno tasse, signor Ministro!

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