Meglio lo stato che il mercato?

gennaio 18, 2001


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Finora le privatizzazioni, con poche erano eccezioni, ero un indirizzo politico condiviso: che diventino ogget­to di critica è già di per sé una notizia. Ancora di più se ciò avviene contemporaneamente da destra e da sinistra, a opera di due per­sonaggi che più diversi non potrebbero essere. I giorni dell’Iri (Mondadori) è di Massimo Pini, voluto da Bettino Craxi nel comitato di presidenza dell’Iri, ove rimase dall’86 al ’92, e oggi vici­no ad An. L’economista Marcel­lo De Cecco, che ha scritto pre­fazione e conclusioni a Le priva­tizzazioni (Donzelli), è il più au­torevole cultore dei grandi eco­nomisti cari alla sinistra, John Maynard Keynes e Piero Sraffa.

Pini è esplicito nel dichiarare la propria nostalgia per l’econo­mia mista e depreca che, chiudendo si sia privata l’Italia di una funzione di «coordinamento essenziale delle strategie di politica industriale». De Cecco parte da considerazioni teori­che sui fallimenti del mercato per giustificare l’intervento dello stato-impren­ditore; e lamenta la mancanza di «sanità di carattere» del sistema pubblico che non ha saputo nominare «manager one­sti e capaci». Pini ha Prodi nel mirino: più che i fatti dell’Iri, sono i suoi «misfatti» quelli che gli preme narrare. Ma i resoconti che egli ci dà delle lotte di potere finiscono per dimostrare, meglio di cento saggi teori­ci, che è proprio l’impossibilità di risol­vere il problema del ricambio dei verti­ci ciò che condanna l’impresa pubblica.

Il 1992 è l’anno di svolta. Mani pulite, la svalutazione e Maastricht. L’Europa, riconosce Pini, «ridimensiona l’obietti­vo statale dell’utilità sociale il cui per­seguimento viene affidato [...] al regolare funzionamento del mercato». «L’I­talia non può più permettersi nessuna politica indipendente» scrive De Cecco. E critica Amato e Ciampi per la fretta con cui si accinsero allo smobilizzo del­l’industria pubblica.

I giudizi di Pini sono pesanti: la svalutazione non fu causata dal debito ma da Giuliano Ama­to che, tassando i depositi bancari, fece crollare la fiducia dei mercati; l’Iri non era in crisi, solo in difficoltà finanziarie; Mani pulite fu usata dai privati per appropriarsi a basso prezzo dei pez­zi migliori delle aziende di stato.

E queste conclusioni, proprio perché nascono da una critica comune, dovrebbero suscitare qualche imbarazzo a sinistra.

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