"Le scelte furono fatte dai manager, nessun danno allo Stato"

settembre 10, 2003


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

corrieredellasera_logo
A sostegno delle ragioni di Prodi si schierano due importanti senatori ds: Franco Debenedetti e Stefano Passigli.

L’AIUTO A MILOSEVIC – «La situazione in Serbia era complessa; – spiega Debenedetti – erano anche in gioco interessi politici e industriali di vari Paesi europei e degli Usa.

Prodi giustamente si prende la responsabilità politica della rilevante iniziativa di una grande azienda pubblica italiana». «I tempi in cui avvenne l’acquisizione non sono sospetti – ricorda Passigli – e cioè dopo gli accordi di Dayton e molto prima dell’inizio della guerra del Kosovo. In un momento in cui cadono le sanzioni economiche e la comunità internazionale cerca di riportare la Serbia nel novero delle relazioni tra Stati. E l’unico che invece andrà a stringere la mano a Milosevic, nella fase bellica in cui diventa dittatore sanguinario, sarà Bossi».

INFORMAZIONI AL GOVERNO – «Di solito, chi ha un potere lo usa senza chiedere permesso: e ho letto – sottolinea Debenedetti – che l’amministratore delegato aveva i poteri per firmare. Con Mario Draghi, il Tesoro aveva adottato la politica di gestire le sue aziende come pure partecipazioni finanziarie. Non vedo perché dovrei dubitare di quanto dice Prodi». «Per privatizzare – ricorda Passigli – bisognava dare fiducia al management altrimenti, si era detto, la privatizzazione non avrebbe avuto successo, come affermò lo stesso ministro del Tesoro dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi. O si accusa di mendacio il presidente oppure si deve accettare che il governo rimase fuori dell’operazione che rientrava perfettamente nei compiti del management».
RICAMBIO DEI VERTICI – «A quell’epoca – ricorda Debenedetti – fummo in molti a sostenere che se non ci fosse stato un ricambio al vertice, non si sarebbe mai privatizzato. Ricordo di averlo perfino scritto: il faraonico piano Socrate, voluto da Pascale, mirava a indebitare la Stet per rendere meno attraente la privatizzazione». «Le nuove nomine – aggiunge Passigli – erano il segnale per il mercato che la privatizzazione sarebbe stata reale e non fittizia. Venne nominato Guido Rossi che era stato presidente della Consob e tutti i mercati finanziari mondiali conoscevano come persona di assoluta indipendenza.

UN’OPERAZIONE COME LE ALTRE – «Che non ci sia stato danno per lo stato, l’ha dimostrato Luigi Spaventa sul Corriere – sottolinea Debenedetti -. Dopo due guerre, tre cambi di proprietà, tra cui l’Opa del secolo, la società privatizzata ha consuntivato una perdita.«Dovere di un amministratore – per Debenedetti – non è evitare il rischio (se no che industriale sarebbe?) ma essere trasparente sulle sue iniziative. Qui trasparenza ci fu, tant’è che ricordo un acido giudizio del Financial Times su “la vecchia zitella che se ne va in giro ad acquistare costosi gingilli nel vano tentativo di rendersi attraente ad eventuali spasimanti”. E Guido Rossi rispose difendendo la visione strategica e la congruità della valutazione». «Nella forsennata politica di espansione – spiega Passigli – intrapresa in quegli anni dalle maggiori Telecom per rastrellare quote di mercati esteri, l’acquisizione di Telekom Serbia è tutt’altro che un’anomalia. Tra il 1997 e il 2000 vennero fatte decine di acquisizioni, nessuna vale oggi più di allora. Le svalutazioni negli ultimi tre anni di Deutsche Telekom, France Telecom, Telecom Italia, Telefonica, Kpn, British Telecom e Vodafone sono ammontate a 4 miliardi di euro nel 2000, 30 miliardi nel 2001 e 52 miliardi nel 2002, per un totale di 86 miliardi di euro, cioè 165 mila miliardi di lire di “errori”. In più la capitalizzazione di Borsa del settore telefonico ha perso dal marzo 2000 il 77 per cento del suo valore. Vogliamo davvero discutere di una minusvalenza di 250 milioni di euro?».

Virginia Piccolillo

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: