Lasciate in pace Mattei

ottobre 29, 2007


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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L’Eni di ieri e quella di oggi

“I nuovi Mattei”: era il nome che avevo dato ai nuovi manager messi a capo delle grandi aziende ancora da privatizzare, ENI, Enel, Stet. Nei giorni passati, commentando l’iniziativa di Paolo Scaroni in Kazakistan, qualcuno l’ha visto come il continuatore dell’opera del mitico fondatore dell’ENI, anche lui alla ricerca di risorse energetiche in posti geograficamente e politicamente difficili. Scaroni come nuovo Mattei?

Con quel nome, in un articolo sul Sole 24 Ore del 10 Maggio 1997, intendevo indicare un paradosso: se i manager che avevano sostituito i boiardi lottizzati ai vertici delle partecipazioni statali, dopo aver risanato i conti, mettevano in atto le iniziative strategiche di cui si parlava (accordi Eni-Enel, Stet-Deutsche Telekom, Stet-RAI), le loro aziende diventavano troppo complesse per essere valutate, troppo grosse per essere assorbite dal mercato dei capitali, troppo potenti per essere vendute a privati: privatizzazioni addio. Non avendo posto il ritrarsi dello stato dalla gestione dell’economia come obbiettivo da perseguire di per sé, si andava incontro al paradosso che proprio la “virtu’” di chi era stato posto alla guida di imprese pubbliche per risanarle avrebbe reso impossibile il raggiungimento dell’obbiettivo di privatizzarle. Come Mattei che, mandato all’AGIP per liquidarla, aveva finito per farne la base di un inattaccabile potere economico: e politico.

In quella forma, quel pericolo non si è materializzato: Enel, liquidate le ambizioni di Franco Tatò di farne una multi utility, con Wind e Infostrada, e con l’Acquedotto Pugliese, è diventata dopo la fusione con Endesa una grande azienda europea, rendendo la residua partecipazione in mano al Tesoro un inutile reliquato. Stet non ha realizzato il progetto Socrate, è diventata Telecom, grazie a Ciampi è stata privatizzata tutta, la fusione con Deutsche Telekom è stata sconfitta dall’OPA di Colaninno. Scaroni prende l’aereo per andare in Kazakistan, ma in Italia non usa i partiti come taxi, a differenza di quanto si vantava di fare il mitico fondatore. Non ci sono nuovi Mattei.

Ma c’è una grande nostalgia di nuovi Mattei.
Lo si vede dal giudizio globalmente negativo che viene fatto delle privatizzazioni, perfino da parte di chi le ha fatte.
Lo si vede quando si suggerisce che il Tesoro non venda le sue residue partecipazioni industriali, dato che esse rendono in dividendi più di quanto costa il servizio del debito: mentre premi al rischio così elevati segnalano rendite di monopolio che il Governo dovrebbe smontare e non lucrare.
Lo si vede dalle ragioni addotte a giustificazione delle mini-IRI locali, utility municipali, autostrade provinciali, aeroporti regionali.
Nuovi Mattei vengono individuati, gramscianamente, nelle Fondazioni: chiamandole a conferire il timbro di privato a ciò che è pubblico (nella Cassa Depositi e Prestiti, per tener buona Bruxelles); o a offrire stabilità negli assetti proprietari (nelle banche); o a mascherare presenze pubbliche diventate sconvenienti (come si vorrebbe fare per la RAI).

“I nuovi Mattei, scrivevo, promettono un frutto irresistibile agli occhi della cultura politica italiana, lo statalismo di successo”. Dieci anni dopo, nonostante le privatizzazioni, la quantità di risorse intermediate dallo Stato aumenta anno dopo anno. Oggi allo statalismo non si chiede neppure più di essere di successo: basta che impedisca la vendita di una minoranza di Fincantieri, o che serva a prolungare l’agonia di Alitalia. Mattei è invocato da Rifondazione per bocciare i rigassificatori, perché trasformerebbero l’Italia in un market dell’energia che vende gas all’estero. Rispetto agli anni passati, il rapporto di potere tra politica e economia ha cambiato di segno, e segue linee di forza diverse.
In mancanza di giganti che costruiscano, van bene anche gli gnomi che blocchino. Vedi la vicenda Autostrade. Vedi quella Telecom, un tormentato percorso finito dove era iniziato, solo un po’ peggio: presenza forte di Telefonica, ma senza il bilanciamento di un altro socio industriale; accordo di distribuzione con Murdoch, ma non su basi di esclusività; la rete dov’era, e senza risorse aggiuntive; persa nella nebbia la questione delle “intercettazioni”, che pure aveva avuto un certo peso sul corso degli aventi. Un ricorso storico, questo; anche l’uscita di Colaninno da Telecom era stata accompagnata da un’iniziativa giudiziaria: é finita in questi giorni con l’archiviazione.

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