La par condicio uccide il sistema uninominale

aprile 14, 1996


Pubblicato In: Varie


L’ uninominale maggiori­tario sta morendo. Sono appena passati due anni, e due tornate di voto. Al sistema elettorale si chiedevano due risultati. Primo, garantire coalizioni coese: e ancora non ci siamo. Secondo, una migliore selezione del personale politico, un rapporto più responsabile e diretto con l’elettorato: e sotto questo profilo andiamo ancora peggio.
Sia sul primo che sul secondo terreno, hanno giocato contro le segreterie dei partiti, quanto di esse è rimasto o ha cercato di risorgere: certe scelte sono risultate poco comprensibili, le desistenze sono una contraddizione tra le preferenze della maggioranza degli elettori di una data area politica e le esigenze di dare spazio a tutte le articolazio­ni di una coalizione. Le primarie, tante volte invocate, nascono da tradizioni politiche diverse dalle nostre e sono quindi di difficile  se non impossibile applicazione nel nostro Paese, come ha dimostrato Pasqui­no in un lucidissimo saggio sul Muli­no. Male istituzioni, e il sistema elet­torale ne è una tra le fondamentali, vivono innanzitutto come passione sentita e interpretata dai cittadini. Da questo punto di vista, l’esperien­za di questa campagna elettorale mostra che essi in generale non sembrano voler usare le possibilità che il metodo offre per raggiungere i vantaggi che si sperava di trarne.

Di fatto, la competizione elettora­le si gioca solo sugli schermi televisi­vi. si esaurisce nei dibattiti tra i lea­der nazionali dei partiti. Dal punto di vista sistemico è bene che il con­fronto sia innanzitutto tra i candi­dati a governare. Ma perché l’innovazione non sia una recita che può stancare, occorrerà evitare che il Pa­ese passi, anche per questa via, a un sistema presidenziale spurio, perché non inserito in un sistema ordinamentale a ciò predisposto. A pena della morte del maggioritario.

Fatto sta che il confronto tra leader in Tv è ingessato dalla «par condicio», della quale si è già detto — giustamente — tutto il male possibile. Ma peggio della «par condicio» è la sua arbitraria estensione a campi che non le sono propri, quelli cioè che non impiega­no beni pubblici quali le frequenze dello spettro elettromagnetico. Se la «par condicio» viene applicata an­che sui giornali nazionali e fin nei salotti privati, vuoi dire che essa fini­sce col tradursi in un desiderio di presa di distanza, in una sostanzia­le indifferenza o diffidenza verso la politica.

Tutto ciò investe infatti in maniera assolutamente negativa il secon­do obbiettivo al quale doveva rispondere la legge elettorale: quello di elevare la qualità dei rappresen­tanti nei collegi uninominali. L’estensione impropria a ogni livel­lo e in ogni ambito della nevrosi «parcondicionista»,, rende infatti im­possibile una valutazione efficace dei candidati, stempera differenze di competenze, esperienze e capaci­tà in un grigiore al quale nessuno presta attenzione. È qui che si cele­bra la morte dell’uninominale.

La politica ha certamente le sue colpe: le alleanze forzate tra diversi o quelle dilatate al limite della per­dita di identità; la rissosità; la di­stanza dalla realtà del Paese, di cui sembra ci si accorga solo — è il ca­so del fisco — in occasione della campagna elettorale. Ma nessuna legge, nessuna istituzione vive fuori dalla società, né a essa può essere imposta.

Equi la colpa non può essere solo addebitata alla politica, ma anche alle istituzioni in­termedie della società civile, dalle associazioni culturali a quelle di ca­tegoria. Sono esse che, come già rile­vava Tocqueville, fanno vivere una democrazia Invece, Rotary, Lions, associazioni professionali, circoli ri­creativi aziendali, sono perlopiù chiusi ai dibattiti, rifiutano di ospita­re confronti.

Si arriva al caso abbastanza clamoroso dell’Unione indu­striali di Torino che rifiuta il con­fronto tra due candidati che sembrerebbero fatti apposta per raccoglierne le esigenze. Il sotto­scritto, un parlamentare che, co­me i lettori del Sole ben sanno, si è battuto con foga per le liber­tà dei mercati e di impresa; e Jas Gavronski, che viene considera­to assai vicino al mondo della grande industria torinese. Con il risultato paradossale che l’uni­ca categoria che risulterà avere voluto confrontarsi con i politici sui temi di proprio interesse ri­sulterà alla fine essere stata quella dei commercianti, con il famoso scontro al cinema Lux.

Ignoro se l’Unione industriali di Torino in questo suo atteggia­mento faccia propria .un’indica­zione nazionale. della Confederazione cui appartiene. Se così fosse, giudico tale indirizzo infe­condo. Tener chiuse le porte ai candidati sotto il pretesto che al­trimenti bisognerebbe aprirle a tutti significa solo chiuderle a chi all’impresa crede. Non si chiede una rinuncia all’impar­zialità, bensì di non rinunciare al buon senso.

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