La delusione di Cesare

febbraio 8, 2002


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


I leader della sinistra e chi li fischia

Tocca una corda sensibile Mario Deaglio quando accusa i politici di sinistra di aver perso contatto con la realtà sociale di un paese che è cambiato sotto i loro occhi.
E’ solo perché ha smesso di ascoltare gli intellettuali, di por mente alle analisi che essi, dal primo Sylos a Fuà ad Accornero, solo per ricordare quelli menzionati da Deaglio fornivano con preveggente puntualità? Non credo che sia mancata la capacità di ascolto; anzi spulciando negli archivi probabilmente si troverebbe traccia dei convegni in cui quegli studi saranno stati presentati e dibattuti magari da politici ancor oggi sulla breccia.
Perché non li hanno messi in pratica?

Questo è l’interrogativo a cui rimanda l’osservazione di Deaglio. La risposta è semplice: quando quelle analisi vengono tradotte in iniziative politiche si toccano interessi, per comporre gli interessi bisogna persuadere e convincere: e questo è il compito della
politica.

Prendiamo il caso dell’art. 18, su cui certo non mancano analisi e proposte di studiosi. Cofferati, per opporvisi, distingue tra diritti – che dichiara intangibili – e tutele – su cui si dice disposto a trattare – ma non precisa dei diritti di chi sta parlando, se di quelli che lavorano o di quelli che neppure si affacciano al mondo del lavoro e che costituiscono il 42% della popolazione attiva. Compito della politica non è solo indicare una soluzione, scegliendo tra quelle che gli intellettuali le propongono ( neppure essi sono depositari di un’unica visione della realtà: basta leggere il botta e risposta tra Gianni Vattimo e Massimo Gramellini che caso vuole siano in pagina proprio a fianco del suo testo): è trovare il consenso, stendere il telone su cui gli individui proiettino i loro progetti di vita.

Compiere, in forza di quei consensi, scelte capaci di rendere perspicuo agli occhi dell’elettorato l’idea di società e di governo che si ha in mente. Queste scelte, non le analisi della società, sono mancate o non sono state compiute con chiarezza, fino in fondo. Così, tornando all’esempio del lavoro, la società italiana ha visto Cofferati battersi con grande determinazione a tutela dei diritti ci chi li ha già. Chi invece sta fuori dalla cittadella dei garantiti ha visto D’Alema annunciare più volte svolte dalle tribune, cui sono mancati fatti susseguenti, e Fassino dire certe cose dalla tribuna di Pesaro, e tutt’altre oggi. Anche sulla riforma della giustizia e su Mani Pulite ci sono oramai montagne di analisi.

Ma l’elettorato ha visto ieri i leader ds spingersi a riconoscere che “eccessi” ci furono, per poi tornare a inneggiare alla supplenza benefica delle procure nella lotta contro il male: ieri il Caf, oggi Berlusconi. E’ questa mancanza di coraggio nel duro esercizio della difficile arte della leadership politica, che porta oggi tanti elettori e intellettuali della sinistra a rifugiarsi nella richiesta di “più antagonismo, a preferire le piazze alle proposte, a chiudersi nella conferma della propria fede. Persa la fiducia nella politica, una parte della sinistra teorizza il ricorso all’antipolitica.

Tagliando sotto i propri piedi proprio la possibilità di interpretare i bisogni di un’Italia, e qui Deaglio ha ragione, ben diversa sia dalle foreste del Chiapas che dalla Spagna della guerra civile: e vivaddio! Quando Nanni Moretti grida che il re è nudo, è la politica che non ha saputo vestirlo. I leader che erano su quel palco, se credono di superare la crisi dando ragione a chi li fischia, commettono la stessa illusione di Cesare, leader del partito antipatrizio dei populares, quando credeva di potersi servire del sedizioso Catilina. Gli ottimati si strinsero prima intorno a Cicerone contro i sediziosi, e Cesare dopo cadde sotto il pugnale.

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