La crisi della Fiat e le colpe dei politici

maggio 24, 2002


Pubblicato In: Giornali, La Repubblica

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Il Senatore risponde a Michele Salvati

La crisi Fiat non è sistemica, comune cioè all’intero settore industriale in cui opera, e neppure conseguenza di comportamenti dolosi o criminali come nel caso Enron: é’ una crisi dovuta a decisioni manageriali. Su questo sono assolutamente d’accordo con Michele Salvati. Ma, per discuterne, egli deve fare un premessa “ideologica”: nel capitalismo ci sarebbero “ragioni di illegittimità”, “ragioni profonde intimamente legate a quelle che ne assicurano la straordinaria efficacia nel produrre benessere”; esse discendono dalla proprietà, dato che questa conferisce ad alcuni il potere di prendere decisioni di cui molti pagheranno le conseguenze. Dissento radicalmente.

Ma, stante il rilievo che queste opinioni hanno nel ragionamento di Salvati, trovo necessario ribatterle, sia pure in forma sintetica, con la schiettezza consentita dalla lunga amicizia.

La proprietà privata è la fonte di legittimazione del capitalismo: esso si sviluppa solo in presenza di sistemi giuridici e organismi statuali che garantiscano il diritto di proprietà. I tentativi di avere l’efficienza del capitalismo senza la proprietà privata, sono tutti falliti, per ragioni su cui Hayek ha scritto pagine definitive. “Illegittima” è semmai la proprietà pubblica: occupando spazio economico, lo sottrae al diritto di iniziativa degli individui e, con la sua mera presenza, scoraggia iniziative di possibili concorrenti. Che nelle attività economiche siano in pochi a decidere e in molti a subire, non dipende dalla natura della proprietà, pubblica o privata, ma dall’organizzazione della produzione. Quando le cose vanno male, innocenti soffrono; ma assolutamente prevalenti sono i casi in cui il controllo capitalistico è fonte di maggiore benessere per i dipendenti.

C’è un problema di “ingiustizia”, particolarmente lacerante per la sinistra, per le conseguenze sulla vita dei lavoratori delle decisioni sbagliate dei loro manager: per questo ci vogliono gli ammortizzatori. Ma la sinistra di governo pensa che il benessere dei lavoratori lo realizzino imprese sane e competitive. Se dunque vogliamo parlare di “legittimità” del capitalismo è anche nel fatto che un’azienda possa andare male fino a scomparire dal mercato, perché questo è il meccanismo attraverso cui la proprietà passa di mano alla ricerca di chi la sa gestire nel modo più efficiente. Tutte cose in cui Salvati mi è maestro.

Parliamo adesso pure di FIAT. Ma lasciamo ad altri le discussioni su modelli vincenti che non si sono fatti, su manager competenti che avrebbero saputo realizzarli. Lasciamo ai consulenti i suggerimenti per il futuro: a differenza di noi due, Michele, sono profumatamente pagati, non facciamogli concorrenza sleale. E lasciamo all’assemblea dei soci, dato che sono loro a pagare la perdita di valore del loro investimento, individuare le responsabilità degli amministratori, confermarli o rimuoverli:

Parliamo finalmente delle cose che solum sono nostre, caro Michele, quelle che, nella vicenda FIAT, ci riguardano come politici. Perché nella crisi FIAT ci sono anche responsabilità dei governi. Sono essi a determinare l’ambiente economico, di mercato e di concorrenza: ed è in relazione a questo ambiente che si definisce il comportamento di impresa, le sue decisioni e le sue strategie. Molte sono le domande “legittime” che vengono in mente. E’ utile il piano di eco-rottamazione che pare si appresti a varare il Governo Berlusconi? E’ stata utile la rottamazione concessa dai governi dell’Ulivo? E, dato che “il concetto di responsabilità è elusivo” e gli interventi si legano ad altri interventi in lunga catena: è stato utile dare i soldi per Melfi? E quelli della Cassa del Mezzogiorno? E’ stato utile tollerare la conflittualità aziendale che ha prodotto Cassino e la sua esasperata robotizzazione? E’ stato utile vendere alla Fiat l’Alfa Romeo? E, prima ancora, è stato utile che lo Stato investisse nell’Alfa Romeo? In tempi più recenti, è stata utile la legge che ha reso conveniente alla Fiat diversificarsi nell’energia elettrica?

Ma il discorso è molto più ampio e di fondo. “Abbiamo perduto la grande industria” titolava un giornale pochi giorni fa: la crisi FIAT è parte di questo più generale problema, è conseguenza di cause più generali. Vale soprattutto per l’Italia ciò che scrive Franco Romani, sul prossimo numero della rivista del Mulino “Mercato Concorrenza Regole”, quando avanza “la congettura che molto spesso le fortune economiche in Europa siano state proprio il frutto della politica [...], che le grandi imprese sono diventati tali per l’appoggio della politica e non per le loro capacità imprenditoriali”.
Questa tesi, applicata la caso italiano, si presta straordinariamente alla lettura di ciò che avviene nella politica e nell’economia. La struttura proprietaria classica del nostro capitalismo è il gruppo piramidale. Struttura in sé inefficiente, perché l’attenzione manageriale invece che essere focalizzata, si disperde su molti fronti, che quindi vengono gestiti in modo subottimale; ma struttura funzionale anche ad aumentare il peso politico e a moltiplicare le occasioni di utilizzare i favori della politica. Anche per aumentare rapidamente il proprio peso politico si preferiscono strategie finanziarie a quelle industriali. Analogamente, è caratteristica non casuale del nostro capitalismo che tutti i grandi giornali appartengano a gruppi industriali che non si sono costruiti a partire da una vocazione editoriale.

Tutti tranne uno, come è ben noto. In questa luce, l’andata al potere di Silvio Berlusconi, più che un’anomalia, appare un simbolo. Anche in questo caso, parlare di legittimità non porta da nessuna parte.

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