Keynes sognava un mondo grigio

marzo 26, 2009


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Caro Direttore,

Sarà pure stato per divertimento filosofico che Keynes scrisse “Possibilità economiche per i nostri nipoti”, come annota Dario Fertilio (Corriere della Sera del 21 Marzo). Ma Guido Rossi, ripetendone il titolo con il punto interrogativo, ne rovescia la prospettiva; e scegliendolo come spunto per uno dei suoi saggi savonaroliani, induce a trarne qualche considerazione attuale.

Keynes delinea, nel suo breve scritto, una visione teleologica della storia, che alla fine prefigura un mondo in cui tutti i bisogni sono soddisfatti, in cui sfruttando “la libertà dalla pressioni economiche”, tre ore al giorno di lavoro “dovrebbero senz’altro bastare per placare l’Adamo in noi”. Abolite differenze, ambizioni, tensioni, il modello saranno le “deliziose persone capaci di apprezzare le cose fino in fondo, i gigli del campo che non lavorano e non filano”. Allora gli economisti saranno come i dentisti, utili e competenti: un programma meno ambizioso, ma non poi molto, di quello del Lenin di Majakowski, per cui, nel comunismo realizzato, anche una cuoca avrebbe potuto “dirigere lo Stato”. Ad accomunare non c’è solo l’idea che la storia abbia una direzione: è Keynes stesso a riconoscere – nella prefazione all’edizione tedesca – che la sua “Teoria Generale“ si adatta molto meglio alle condizioni di uno stato totalitario [che non a condizioni di] libera concorrenza e largo spazio per il laissez faire”. Il comunismo realizza la visione eliminando la proprietà privata dei mezzi di produzione, Keynes con un sistema di tre condizioni: il controllo dell’aumento della popolazione; l’eliminazione di guerre e tensioni sociali; e la fissazione di un tasso di accumulazione pari alla differenza tra produzione e consumo. Il comunismo mira a risolvere il problema della scarsità (e quindi della lotta per la sopravvivenza) socializzando: Keynes è più radicale, immagina il superamento delle stesse condizioni di scarsità.

Controllare, eliminare, fissare: chi deciderà tutto questo? Keynes presuppone l’esistenza di qualcuno “fuori” dal sistema che abbia la capacità di predire e il potere di imporre. Questa è la petizione di principio, antica quanto il quis custodiet, di ogni progetto che non attribuisca al sistema stesso la capacità di selezionare le proprie informazioni, di scegliere le proprie direzioni. Un errore logico che porta inevitabilmente a imboccare la “Road to Serfdom”.

“Posso calcolare il movimento dei corpi celesti, non la follia degli uomini”: Guido Rossi suppone che Keynes avesse presente la frase attribuita a Isaac Newton. Ma “follia” è pensare che gli uomini siano “oggetti”, semplici e primitivi come i corpi celesti, che i loro comportamenti obbediscano a leggi, e che, conoscendole, sia possibile impedire le loro “follie”. <>Quando ancora una volta le teorie di un filosofo defunto vengono invocate a sostegno di obbiettivi politici, allora si devono mettere in luce i pericoli a cui esse ci espongono. Non per negare la necessità di limiti più stringenti ai requisiti patrimoniali degli operatori, o di esigere clearing rooms per tutte le contrattazioni, Non per passare sotto silenzio le asimmetrie, nelle informazioni e nelle incentivazioni, o i casi di cattura del regolatore.

Non per mettere in dubbio la funzione dello Stato nel mantenere liquido e solvente il mercato finanziario, e neppure per disconoscere qualsiasi utilità ai programmi di stimolo. Non di questo si discute. Si discute del fatto che i mercati vengano ritenuti incapaci di comportamenti razionali e quindi bisognosi che qualcuno imponga loro una razionalità esogena. Del fatto che lo Stato possa indirizzare l’erogazione del credito, e quindi possa condizionare a cascata la scelta degli investimenti, la selezione del management, le politiche aziendali. Si discute della visione per cui il mondo ideale è quello in cui non ci sono diversità, in cui gli Stati tassano tutti nella stessa misura, tutti i risparmi hanno lo stesso rendimento, il valore di un’azienda non è quello del prezzo di chi è disposto a investirci, ma dal consenso di quanti potrebbero essere influenzati dal suo agire.

Questo ovviamente non avverrà. Torneremo a vedere tempi migliori. Ma nel medio periodo, prima che noi si sia tutti morti, è grande il pericolo che le decisioni di governanti, di dentisti e di cuoche, ci faccia vivere più a lungo di quanto sarebbe possibile in un mondo più grigio di quello che sarebbe desiderabile, con meno prospettive e meno speranze: un mondo fondamentalmente ingiusto. A rischio sono non le possibilità economiche dei nostri nipoti: ma quelle dei nostri figli.

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