Caro ingegner Presutti,
ricorda quando lei fu nominato presidente di Semea, l’azienda Ibm responsabile per tutta l’area centro-sud europea? Eravamo concorrenti, allora, ma c’era nei miei rallegramenti la soddisfazione sincera nel vedere che i suoi successi erano valsi a portare in Italia un importante centro decisionale. Poi nella sua nomina ad Assolombarda vidi il riconoscimento che, a un certo livello di responsabilità, le energie personali investite da un manager non sono diverse dalla totale identificazione di un imprenditore con il suo buiness. Sicché sfuma la differenza tra manager e imprenditore.
Con la sincerità di allora le dico, caro ingegner Presutti: dia le dimissioni da consigliere Rai.
Lei è troppo esperto di cose aziendali per non sapere che ormai questa vicenda è irrimediabilmente compromessa. Lei sa che un’azienda può sopportare defezioni di personaggi chiave, conti in rosso, spiazzamento tecnologico e di mercato: purché rimanga un’idea di azienda, purché ci sia un capo che ancora riesca a tenerne insieme l’anima. Lei sa che in Rai questo limite è stato superato. E lei sa pure che non può aspettarsi nessun aiuto da questa maggioranza, che applica questa sua personalissima versione del laissez faire: stallo decisionale dei vertici e mano libera alle più spregiudicate intendenze. Alla sua consumata esperienza sarà apparso evidente il filo rosso che collega nomine Rai, nomine a Bruxelles, figuraccia di Casablanca, stallo delle privatizzazioni, fino alla vicenda, grottesca se non fosse tragica, degli attacchi a Bankitalia. Lei sa che scegliersi i collaboratori è compito non delegabile, poiché dall’abilità nel farlo dipende il successo di un manager e di una politica.
A certi livelli, e il suo è uno di questi, i compiti imprenditoriali hanno risvolti politici. Ovvio quindi che in primo luogo, da parlamentare, mi rivolga alla sua sensibilità politica. Ma siamo anche tutti e due ingegneri ed ex manager: il paese che ha voluto il passaggio alla seconda repubblica, dalla capacità imprenditoriale e dall’abilità manageriale si aspetta molto. Troppo direi: è anche per queste attese che Silvio Berlusconi è giunto alla massima responsabilità esecutiva, e pure lei converrà che i risultati non sono certo esaltanti.
Lei è un manager internazionale, con una carriera invidiabile alle spalle; lei ha guidato una grande azienda con migliaia di dipendenti, non un’impresa di servizi con un paio di dozzine di impiegati: lei è portatore di valori simbolici forti. Il fallimento del compito in cui ora è stato coinvolto sarà percepito come un’altra trahison des clercs. Dopo il disgusto di una certa politica, mentre cercano di corrodere il prestigio dei giudici, possiamo permetterci che cada anche la (già non sempre fulgente) immagine degli imprenditori?
Dia le dimissioni. Lo so che le è difficile: la legano relazioni, amicizie antiche, un ambito status raggiunto; e anche rapporti di lavoro consolidati in anni e anni. Noi stessi pretendevamo dai nostri manager di non anteporre il bene personale a quello dell’azienda: quando si perpetua una situazione insostenibile, e di fatto così si danneggia l’azienda stessa, è per senso di responsabilità che si deve dire di dire di no.
Non è posto per lei dove circolano i Rasputin e gli Starace: la sua immagine e la sua storia le chiedono oggi un atto di coraggiosa coerenza.
novembre 4, 1994