Il doppio gioco delle Fondazioni

dicembre 13, 2000


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Le Fondazioni bancarie ancora al centro di polemiche

Le Fondazioni bancarie sono ancora al centro di polemiche: e questo a poco più di un anno dall’approvazione della legge Ciampi che doveva disciplinarne status e attività. Sono polemiche giustificate?. A scaldare gli animi – e a scandalizzarne qualcuno- è soprattutto la vicenda delle nomine negli organi di controllo delle Fondazioni. Ma così facendo si rischia di cogliere solo una parte del problema.

Il fatto cruciale da non dimenticare è che le Fondazioni sono due cose insieme. Da un lato, esse sono soggetti dediti alla realizzazione e/o al sostegno finanziario di attività con scopi di utilità sociale, dall’altro, detengono partecipazioni proprietarie nelle banche; esse quindi, da un lato, operano nel settore non profit, dall’altro, sono attori centrali del settore for profit, anzi di quel settore che alimenta e vincola il resto del sistema economico.
Non essendo sottoposti al controllo del mercato, gli amministratori delle Fondazioni devono rispondere alla collettività riguardo alla loro attività non profit; e la legge Ciampi definisce le regole di base e affida al ministero del Tesoro funzioni di vigilanza. L’attività delle banche è, invece, sottoposta al controllo del mercato; è, quindi, efficiente bandire da essa ogni opaca interferenza politica. La legge Ciampi nasce con lo scopo di separare questi due diversi mondi delle Fondazioni. Pertanto, il giudizio su tale legge dipende dalla valutazione, che si dà, circa gli effetti prodotti per il controllo dell’attività propria delle Fondazioni e per la limitazione della loro attività impropria. Noi ci concentreremo sul secondo problema, che è di rilevanza decisiva per gli assetti proprietari e per il connesso funzionamento del nostro sistema bancario.
A un anno e mezzo dal varo della legge in esame, il totale delle partecipazioni proprietarie delle Fondazioni nel sistema bancario italiano è sensibilmente diminuito; nonostante ciò, il loro potere di controllo è rimasto decisivo e, anzi, è aumentato.
In Banca Intesa, SanPaolo-Imi, Unicredito, Banca di Roma e Montepaschi, che rappresentano i nostri primi cinque gruppi bancari per dimensione dell’attivo, e in Mediobanca, le quote proprietarie delle Fondazioni sono intrecciate e determinanti per gli assetti di controllo, dove fungono da ago della bilancia e da garanzia di stabilità a prescindere dall’efficienza. Inoltre, i loro intrecci proprietari stanno investendo anche le banche di medie e di piccole dimensioni. Si può, quindi, affermare che, oggi, il sistema bancario italiano è controllato dalle Fondazioni, che sono soggetti fra loro diversi ma accomunati da una caratteristica cruciale: non essere sottoposte a controlli di mercato. Il risultato è in chiara contraddizione, se non con la lettera, con lo spirito della legge Ciampi e con l’intento di incentivare le dismissioni bancarie, mediante il trasferimento alle Fondazioni di danaro pubblico.
Come è potuto avvenire tutto ciò? All’articolo 6, la legge Ciampi vieta alle Fondazioni di detenere “partecipazioni di controllo” in imprese for profit e, in particolare, nelle banche. Quando si passa dai principi alle definizioni, nella legge si apre però una falla: nei primi due punti del comma 3 di questo articolo il controllo è inteso come la disponibilità della maggioranza dei voti oppure come il diritto di effettuare, o di subordinare al proprio assenso, la nomina della maggioranza degli amministratori. Inoltre, l’art. 25 dà alla Fondazioni un consistente lasso di tempo (4 anni più – nel caso delle banche conferitarie – 2 anni) per adeguarsi.
A chiudere questa falla ci abbiamo provato in tutti i modi e in tutte le sedi, in cui ciascuno di noi due si è trovato a operare. Si è proposto, di volta in volta, di introdurre: l’obbligo di affidare la gestione dell’intero portafoglio di partecipazioni a un investitore istituzionale, che agisse da filtro verso la Fondazione coinvolta; il riferimento alla nozione di controllo del Testo unico bancario, molto più restrittiva di quella del codice civile; il vincolo di ratificare gli statuti delle Fondazioni solo dopo l’effettiva dismissione delle partecipazioni bancarie superiori a una quota minima.
Tutti gli emendamenti, che uno di noi (Debenedetti) ha presentato in Commissione ed in Aula nei due passaggi della legge delega in Senato e ancora in sede di parere sul decreto legislativo, sono stati però bocciati così da non turbare l’accordo tra una parte della maggioranza e tutta l’opposizione per mantenere un ruolo attivo delle Fondazioni anche al di fuori dell’àmbito non profit. E’ quindi sorprendente che l’on.le Tremonti, in un’intervista a questo giornale (cfr. 23 novembre 2000), se ne esca con la proposta di “azzerare” la legge Ciampi e di “azzerare” gli organi amministrativi delle Fondazioni.
Abolendo una legge non si aboliscono i soggetti che essa ha creato e i diritti che essa ha loro conferito: l’azzeramento della legge avrebbe dunque per effetto di lasciar campo libero alle Fondazioni anche in campo bancario. E’ più probabile che l’iniziativa dell’on.le Tremonti sia in linea con l’attivismo di Forza Italia nella difesa degli interessi di una parte dei gruppi di controllo delle Fondazioni.
Chi invece si preoccupa in primo luogo del problema degli assetti di controllo del sistema bancario si domanda che cosa si può fare per raddrizzare la situazione. Adottare una nozione più restrittiva di controllo richiederebbe la modifica dell’art. 6: oltre ai tempi lunghi e ai rischi degli inevitabili ricorsi da parte delle Fondazioni, dove trovare la maggioranza che voti una tale modifica? La strada, che ci sembra percorribile, è invece offerta da un terzo punto del comma 3 dell’articolo 6 dove, grazie anche alle proposte avanzate da uno di noi (Messori) in sede di discussione tecnica, la definizione di controllo è stata estesa ai casi, in cui “sussistono rapporti anche tra soci, di carattere finanziario e organizzativo idonei ad attribuire alla Fondazione i poteri o i diritti” di nominare la maggioranza degli amministratori.
Un atto di indirizzo del ministero del Tesoro, in quanto autorità di vigilanza, potrebbe precisare che tali sono i rapporti che consentono di formare le maggioranze in assemblea e in consiglio di amministrazione; vietandoli, obbligherebbe le Fondazioni ad un ruolo rigorosamente passivo o – almeno – ininfluente circa le scelte e i comportamenti dei gruppi bancari.
Si tratterebbe di un esercizio di microchirurgia assai elegante e, forse, decisivo perché la legge Ciampi arrivi a eliminare il mondo “improprio” fra i due, nei quali operano oggi le Fondazioni di origine bancaria. Chissà che il Ministro Visco non voglia dare al suo antagonista una lezione di rapidità e di efficienza.

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