I partiti imprenditori

gennaio 13, 1993


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


E così il finanziamento illegale dei partiti sarebbe stato giustificato dalla necessità di mantenere la stabilità democratica in un Paese come l’Italia, che si rappresenta, all’uopo; attraversato da un suo simbolico muro di Berlino. Desta perplessità già il constatare che l’avere assicurato all’Italia il libero svolgimento della vita democratica, si è accompagnato alla creazione dell’economia più «socialista» e statalista di tutto l’Occidente; e ad un ritardo, strutturale e culturale, nello sviluppo del mercato e delle forze sociali: quali meccanismi hanno cooperato a produrre questa contraddizione?
zbr/>Al fine di riassorbire tensioni e di garantire stabilità, fu adottata una politica sociale fondata su erogazioni di benefici corporativi; ed i partiti si cercarono titoli di merito destinando tali trasferimenti di volta in volta a settori specifici della comunità, secondo una logica assistenziale. Sempre ai fini di politica sociale si accentuò la natura mista della nostra economia, dilatando gli investimenti a fini occupazionali dell’area pubblica o pubblicamente finanziata, e gonfiando gli organici della pubblica amministrazione. Una classe politica di recentissima formazione
orientò la spesa sociale ai fini della propria radicazione nel Paese: promosse la crescita della cittadinanza sociale più ai fini di ottenere consenso che per orientare i valori delle classi emergenti e favorirne uno sviluppo funzionale al sistema economico.
L’allargamento dell’area pubblica e la dequalificazione della burocrazia amministrativa, hanno creato le condizioni perché, ad un certo punto, si instaurasse una modalità totalmente diversa nella competizione tra i partiti. Questa discontinuità si è avuta quando i partiti, anziché limitarsi ad indirizzare i flussi finanziari, si sono attribuiti il diritto di sfruttamento di aree di attività economica, quindi il diritto di imporre tributi da investire direttamente nella promozione del partito (o, stante la relativa stabilità dell’elettorato in quegli anni, delle correnti in seno al partito). Come se i partiti avessero preso a competere da imprenditori; e da imprenditori pretendessero di disporre di risorse da investire direttamente per il proprio sviluppo. Dà mediatori di interessi, si sono fatti imprenditori di se stessi:. Il rapporto è stato ricercato anziché con í destinatari dei flussi finanziari, con le fonti delle risorse da investire in attività di promozione.
I fatti di rilevanza penale, che in tal modo si configurano, sono strettamente funzionali ai fini politici che si volevano raggiungere. E’ per questo che giudizio politico e giudizio penale non sono separabili tra loro. Così come non è possibile ricondurre le «mariuolate» individuali alla debolezza della natura umana di fronte alle tentazioni.
Queste non sono un incidente imprevisto: solo nelle società ordinate e nel rispetto delle leggi la risultante degli egoismi individuali approssima il bene collettivo.
Oltre alla responsabilità penale ed a quella politica, c’è la responsabilità sociale di avere sprecato una generazione: le aspettative, l’apertura al nuovo che avevano accompagnato re grandi battaglie per i diritti I civili e l’abbandono di vecchie i mitologie, la ventata di aria nuova all’emergere di una nuova borghesia, le potenzialità insite nei cambiamenti strutturali del tessuto economico, sono state o deluse o deviate ed in parte corrotte. Nelle critiche al psi e nella sua crisi c’è anche la delusione di chi proprio il psi aveva creduto interprete di quanto di nuovo e di positivo si agitava nel Paese.
Si è persa quindi la grande occasione di mettersi al passo con le riforme economiche orientate al mercato che, in gran parte del mondo, hanno caratterizzato gli Anni 80. Non ne abbiamo approfittato per introdurre elementi di concorrenzialità nel nostro sistema economico, anzi abbiamo aumentato il numero dei monopoli legali. Abbiamo lasciato che le attività economiche che fanno capo allo Stato, alle Regioni, ai Comuni ed alle loro aziende si svolgessero secondo schemi gestionali opachi quando non criminosi, favorendo intrecci tra pubblico, imprese pubbliche ed imprese private. Il sistema tangentizio ha anche ridotto lo spazio economico, la concorrenza e quindi la concorrenzialità. Certo anche per questo verso si è avuta la stabilità dell’assetto politico: ma, come scrive F. Cavazzuti in un recente articolo sul «Mulino», «la si è accompagnata alla sostanziale immobilità di molti altri soggetti e alla limitazione di quella libertà di ingresso che invece, in altri Paesi, caratterizza non solo i mercati competitivi, dinamici ed efficienti, ma anche una moderna democrazia economica».
Mentre in tutto il mondo le grandi imprese si stanno faticosamente ristrutturando per adeguarsi ad un contesto che l’età dell’informazione rende sempre più aperto all’emergere di nuovi soggetti; mentre è sempre più chiaro che solo l’introduzione di massicce dosi di competizione può sciogliere le incrostazioni ed allo stesso tempo accrescere l’efficienza delle nostre industrie, nella nostra Bisanzio si evira il piano di privatizzazioni, si rendono «naturali» i monopoli, si consolida il partito trasversale di coloro che vogliono che nulla cambi.
E si voleva dare un esempio dei valori e dei vantaggi del sistema occidentale: quando si dice l’eterogenesi dei fini!

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