I falsi sostenitori del libero mercato

dicembre 30, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Fino all’altro ieri erano in pochi in Italia ad amare il mercato. Ultimamente sembrano diventati tanti: peccato che da parte di molti l’abbraccio sia così stretto da diventare soffocante.
Sulla questione del numero delle piattaforme digitali, il Ministro Cardinale si era prontamente messo alla testa dei sostenitori della piattaforma unica: “tutti insieme appassionatamente” per amor di mercato, che non avrebbe retto due concorrenti. Quando Telecom, stanca della telenovela con RAI, nonostante le resistenze politiche sfiorassero il ricatto, sigla un accordo con Murdoch e rompe il tabù– questo almeno va riconosciuto a Rossignolo- Salvatore Cardinale é fermissimo nell’invocare maggioranza italiana nel capitale di entrambe le joint venture: per amor di mercato, che va protetto dai pescecani australiani.

Adesso a Bernabè é riuscito il colpo doppio, di cedere la maggioranza di Stream subito con la possibilità di uscirne del tutto in seguito, e di assicurarsi il controllo dei servizi su Internet. E il Ministro delle Comunicazioni sul Corriere della Sera ha una nuova parola d’ordine, “salvare l’italianità”: per amor di mercato, perché vi possano sopravvivere le specie protette.
Nessun tocchi le partite della nazionale e il Festival di Sanremo; non saranno criptate, perderanno i proventi dalla vendita dei diritti ma si saranno salvaguardati “la cultura e l’intrattenimento italiano”.
Partite di calcio: una sola piattaforma, un solo acquirente dei diritti di trasmissione; due piattaforme, due acquirenti, quindi concorrenza. Chi troviamo a volerla “proteggere”? Proprio quelli che fino a ieri sostenevano la piattaforma singola: si metta un tetto del 30%, dice uno; no il 50%, replica l’altro; calcolato sul totale, no solo sulle trasmissioni criptate. Poco importano i numeri, l’importante é non lasciare il mercato senza regole.

A nessuno di questi “protettori” viene in mente che a “garanzia” di mercato e concorrenza c’è un’Autorità; al suo vertice, nominato dai Presidenti di Camera a Senato, c’è attualmente un giurista che le passate esperienze rendono incline a considerare questo problema nella dimensione europea che gli compete. Nessuno ricorda che l’art.13 della legge istitutiva dell’Antitrust dà diritto a tutti, dunque anche al Ministro delle Comunicazioni, di chiedere che un contratto venga esaminato per le eventuali limitazioni della concorrenza.

E’ possibile che l’Antitrust consideri la durata dei contratti con occhio critico; é probabile che invece sia molto cauta nell’intervenire con norme volte a predefinire quote di mercato; proprio ieri ha sanzionato intese tra RAI e Mediaset per spartirsi il mercato delle partite. Se News Corp. compra il calcio italiano, Canal Plus dovrà buttarsi su altri sport, o su altri campionati: ne farà crescere la popolarità, e con essa cresceranno i finanziamenti. E poi, le squadre di calcio sono ormai imprese, in mano a imprenditori che non hanno bisogno di consulenti ministeriali e di “quote” per sapere che é loro interesse che ci siano sempre due compratori, che la loro forza contrattuale alla prossima tornata svanirebbe se ne restasse uno solo.
E pensare che il Governo potrebbe limitarsi a mostrare apprezzamento per questo investimento diretto estero, a fare i conti delle imposte sui redditi delle società di calcio, a calcolare il numero dei posti di lavoro: per vendere abbonamenti, per installare parabole e decoder, per fornire nuovi servizi. Potrebbe – silenziosamente, dato che l’azienda é privata – rallegrarsi che Telecom abbia trovato un alleato di stazza per i servizi su Internet; potrebbe – silenziosamente, dato che qualcuno potrebbe trovare strano investire i soldi del servizio universale per vendere programmi a pagamento – strizzare l’occhio al partito RAI, che intanto é riuscito a far salire la sua azienda a bordo del satellite.
Torniamo allora agli abbracci soffocanti della politica verso il mercato, da cui siamo partiti. Il rischio che si corre é duplice. Da una parte quello – per amor di tetti – di non sviluppare come si potrebbe in senso industriale le società sportive né l’offerta TV ai loro tifosi. Dall’altro quello di respingere non solo un imprenditore “cattivo” come Murdoch – magari considerato tale per le sue presunte inclinazioni politiche – bensì di scoraggiare tutte le grandi imprese multimediali straniere ad entrare in un roveto: quello che la politica ha creato per poterne essere guardiana.

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