Debenedetti: la sinistra trova un leader ma così si condanna a non governare

marzo 24, 2002


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Intervista di Giuliana Ferraino

«Un chiodo troppo piccolo a cui appendere una manifestazione troppo grande». E’ l’immagine che Franco Debe­nedetti usa per sottolineare la «spropor­zione» che osserva tra la reale portata del­le modifiche che il governo vuole introdur­re per modificare l’articolo 18 e l’entità del­la protesta. Il senatore diessino, a suo tem­po autore di una progetto di riforma dell’articolo 18, vede però, due conseguenze della dimostrazione organizzata dalla Cgil ieri a Roma. La prima per il sindacato, che «impostando tutta la protesta sul­la difesa assoluta di un diritto, rinuncia ad essere protagonista nelle riforme impor­tanti». L’altra per la sinistra, che «si ricom­patta e trova un leader, ma su una linea che ben difficilmente le consentirà di ritornare a governare questo Pae­se». Anche il governo, però, esce sconfitto dallo scontro, perché «si è infilato in un vico­lo cieco, senza saper affronta­re i grandi temi per moderniz­zare il mercato del lavoro».

Senatore, come giudica la mobilitazione di piazza a Ro­ma?
«Era stata indetta per pro­testare contro le modifiche all’articolo 18, e poi è diventa­ta una risposta al terrorismo: in realtà il suo significato è eminentemente politico. Co­me ha osservato Pietro Ichi­no sul Corriere, dei tre casi di deroga previsti per l’articolo 18, due sono di fatto inappli­cabili. Resta quella per le aziende prossime alla soglia dei 15 dipendenti. Ma fin dal­l’inizio il governo ha fatto una scelta minimalista. a cui si è contrapposto il massimalismo della protesta».

Ci spieghi meglio.
«Il governo non ha posto l’articolo 18 all’interno di una ambiziosa riforma del di­ritto del lavoro. Il sindacato, da parte sua, ne fa una que­stione di diritti intoccabili: ma è difficile che questo dirit­to fondamentale sorge quan­do il lavoratore ha più di 15 compagni di lavoro, e non esiste se ne ha solo 14».

Quindi?
«La riforma dell’articolo 18 deve partire dalla considerazione del ruolo dell’impre­sa in una società evoluta, distinguendo il compito di chi deve essere efficiente per produrre ricchezza, da quello di chi deve fornire le tutele a chi resta fuori dal mon­do del lavoro, e l’aiuto a reinserirvisi. I la­voratori oggi protetti dall’articolo 18 sono una minoranza. Ed in questa forma non è presente in nessun grande Paese euro­peo».

Qual è allora il risultato della manife­stazione?
«Cofferati ne esce molto rafforzato, emerge la sua forza politica di leader. Il “cofferatismo” è la risposta al “moretti­smo”».

Cofferati da numero uno della Cgil a leader della sinistra?
«Con Cofferati la politica riprende il suo posto, scalzando l’anti-politica e i giroton­di. Ma se il sindacato prevale sul partito si allontanano anche le prospettive di gover­no della sinistra».

Perché?
«L’idea che la forza di un sindacato pos­sa essere un surrogato alla forza delle idee necessarie per governare un Paese com­plesso come l’Italia può ricompattare l’op­posizione: ma solo il riformismo consenti­rà alla sinistra di ritornare a guidare il Pae­se».

Martedì il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha convocato i sindacati per riprendere il dialogo. Da do­ve si deve ripartire?
«Quando uno dice “vengo a discutere, ma c’è un punto di cui non voglio parlare”, e quel­lo è il solo tema in agenda, mi chiedo come si faccia a dialo­gare. Ripartire dal Libro bianco come chiede la Cisl? Ma il governo non vuole. E’ difficile che possa tornare in­dietro. Lo stesso vale per il sindacato. Che cosa raccon­ta ai 3 milioni che sono scesi in piazza?».

Che fare dunque?
«In teoria, riprendere il di­scorso dai grandi temi. L’equità, ossia abbassare le mura e allargare le porte del­la cittadella delle tutele. per usare un’espressione di Ichi­no. E l’efficienza delle impre­se. E la crescita. Ma entram­be le parti si sono tagliate i ponti. Il buon senso suggeri­sce, quando non si può vince­re a un gioco, di cambiare il gioco».

Quali sono le colpe del sin­dacato?
«Parlerei piuttosto di con­seguenze negative. Con que­sta chiusura totale e di princi­pio si ferma su posizioni conservatrici e si chiama fuori dalle vere riforme: che atten­deranno ancora».

E le colpe del governo?
«E’ stato un errore infilarsi in un vicolo cieco, introdurre le modifiche all’articolo 18 in modo così minimalista».

Quindi ha ragione il leader della Cisl, Savino Pezzotta, quando definisce l’arti­colo 18 una «controriforma»?
«Così com’è, la riforma proposta dal go­verno è una piccola cosa, quasi una non ri­forma. Se fosse parte di un ridisegno complessivo del sistema di tutele sarebbe inve­ce una grandissima riforma».

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