Contro il giustizialismo riforma della giustizia

dicembre 5, 2001


Pubblicato In: Varie


L’aspetto programmatico e quello politico nella questione giustizia

La questione giustizia è intrecciata, da almeno 10 anni, alle più rilevanti vicende politiche; occupa quotidianamente pagine di giornale; interessa personalmente milioni di cittadini. E invece nelle mozioni congressuali la questione ha un ruolo secondario: nella mozione Fassino è al 15esimo posto, in quella Morando é menzionata solo per il funzionamento della macchina giudiziaria.

Nella questione giustizia c’è l’aspetto programmatico: la necessaria riforma del rapporto del potere giudiziario con i cittadini e con il potere politico. E c’è l’aspetto politico: la presenza, nel nostro schieramento, e nella nostra base elettorale, di un giustizialismo giacobino, che ci condiziona nelle nostre decisioni politica e le alleanze. Due questioni distinte ma intimamente collegate: senza avere fatto i conti con il giustizialismo ogni tentativo di affrontare la questione giustizia è destinato a fallire.

Esemplare in proposito è il caso del falso in bilanci, il capitolo più controverso della riforma del diritto societario. Quando uscirono le prime indiscrezioni sulle proposte della commissione Mirone, insediata dal Ministro Flick durante il Governo Prodi, ci fu una levata di scudi, tanto da condizionare la versione finale della Mirone nonché il disegno di legge Fassino, che non fu fatto approvare dall’aula. Contro la versione proposta da Berlusconi noi abbiamo proposto come emendamenti gli articoli del dIl Fassino. Il risultato netto è che ci siamo fatti respingere come emendamenti i testi, identici alla virgola, che avevamo avuto quasi un anno per approvare come legge.
Anche sulla chiusura della vicenda di Tangentopoli, la proposta avanzata da G.M. Flick, offriva ampie garanzie, risolveva gli ultimi residui del terrorismo, e pure il caso Sofri: ma fu bloccata da indiscrezioni sapientemente fatte filtrare da Palazzo Chigi.
Infine il problema del conflitto di interessi, terreno d’elezione dei giustizialisti, che chiedono soluzioni che vanno dall’ineleggibilità alla confisca. In fine legislatura si è deciso di fare approvare una norma da un solo ramo del parlamento, raggiungendo così di avere gli inconvenienti di apparire giacobini senza avere i vantaggi di avere una norma risolutiva.

Certamente con questa maggioranza è difficile legiferare “sotto un velo di ignoranza”, avendo in mente solo l’interesse generale. Berlusconi prende in ostaggio temi che interessano larghi strati di elettorato, e se ne fa scudo a proprio vantaggio; oppure, come nel caso del conflitto di interessi, ci invita a caricarlo a testa bassa, ad avanzare proposte che varrebbero solo a rafforzare la sua immagine di imprenditore campione della libertà di iniziativa, e fare apparire noi come una sinistra settaria, anticapitalista, e statalista.
Ma farsi condizionare dal fenomeno Berlusconi sarebbe un errore: la crisi della giustizia in Italia non nasce negli anni 90, ma in quelli 70, cioè quando la sinistra, credendo di essere vicina alla spallata nei confronti delle forze di governo individuò nel concreto “pronunciare giustizia”, uno strumento per approfondire le contraddizioni dell’assetto sia politico che produttivo e sociale del nostro paese. Dai pretori d’assalto al processo di Marghera c’è una linea di continuità, che sulla base del “diritto sostanziale” confonde il dettato della legge con i principi etici superiori, le fattispecie penali con le teorie sui fini ultimi della filosofia della giustizia.
Questa linea di continuità è stata fatta di preminenza della vita associativa della magistratura, in un’accezione libera da qualsivoglia vincolo e limite nei suoi pronunciamenti in materia di politica generale. Si è consolidata quando la giusta necessità di porre riparo al “conformismo giuridico” per cui il sistema di avanzamenti e assegnazioni era incentrato sui giudici della suprema Corte di cassazione, è poi diventata – con il concorso sia delle forze di governo che di quelle allora all’opposizione -, un sistema di avanzamento automatico senza alcun residuo principio di responsabilità. In modo particolare per quanto attiene alla magistratura inquirente, dove neppure il capo della procura è titolare di alcun potere di indirizzo sui sostituti, e, il sollevarli avocando a sé l’inchiesta, sono gesti di rottura, risolti nell’esperienza concreta, con “pronunciamenti” su cui ha sempre finito per pesare l’appartenenza alle correnti ella vita associativa, con controversie interne, fino alla sostituzione dei capi da parte del CSM, sempre politicamente risolte. E’ infine diventata sistema quando il dettato costituzionale, quanto all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, si è concretamente tradotto nel fare del CSM un organo di autogoverno titolare di veri e propri poteri politici, che non a caso ha più volte invocato il Capo dello Stato di “far rispettare”, ultimamente anche sulle rogatorie, “l’obbligo” del parlamento di prestare orecchio alle istanze della magistratura associata su indirizzi di politica legislativa

Di queste premesse si nutrita l’epopea dei pm castigamatti, l’ansia di istruire maxiprocessi associativi per dare una risposta “giudiziale” a fenomeni sistemici di degrado o arretratezza italiani, si trattasse di tangenti o “terzo livello” della mafia; e poi il giustizialismo manipulitesco. Una risposta “giudiziale” che, per una sinistra di governo, anzi per una forza di governo tout court, è sbagliata innanzitutto perché costruita sulla temibile antinomia paese legale -paese reale, che è la faglia su cui da sempre passa il trionfo dell’antipolitica, dell’antiparlamentarismo e antipartitismo.

Una sinistra di governo deve riconoscere tutto ciò e avanzare soluzioni ordinamentali che si affidino alla saggezza e all’equilibrio per contrastare la tendenza della destra, dopo il 13 Maggio, di regolare i conti facendo tornare il pendolo in direzione opposta agli eccessi del passato, affrontando i temi più controversi: separazione giudici pm, finanziamento della politica, obbligatorietà dell’azione penale, progressione in carriera. Per non restare nel generico, si suggeriscono qui gli spunti su cui elaborare una proposta.

· Scuola di tirocinio per magistrati e formazione ricorrente per cambiamento di funzioni (modello francese) come fondamento di una reale separazione di funzione tra pm e giudicante. Opponendo così alla separazione di carriere cui punta da sempre il centrodestra, la concreta esigenza di specializzazione nel cercare o pronunciare giustizia in un mondo sempre più complesso dove aver vinto un concorso a 25 anni non può bastare in alcun modo per una vita intera.
· riforma del finanziamento della politica, basata su sistema di forti incentivi fiscali a persone fisiche e imprese con sistema di pene totalmente diverso e basato soprattutto su interdizione pubblici poteri fino a e sospensione o decadimento diritti politici; per il pubblico ufficiale corrotto si decade financo dalla pensione pubblica a ripartizione.
· quanto al pm e alla finta obbligatorietà dell’azione penale, la destra vorrebbe che fosse un politico, parlamento o governo, a esprimere gli indirizzi sulle priorità da perseguire, formula puramente nominalistica se non si affianca a una subordinazione dei pm al potere politico o centrale, come in Francia, o regionale, come in Germania, o con un pm elettivo negli Usa. La sinistra dovrebbe invece controproporre inquirenti indipendenti dalla politica, ma con capi ufficio dotati di poteri più penetranti e nominati da un CSM non eletto secondo legge elettorale correntizia.
· introdurre norme per cui la posizione del magistrato nell’organizzazione del corpo giudiziario, le funzioni esercitate e il trattamento economico vengano definite attraverso meccanismi competitivi di progressione in carriera, basati non solo sull’anzianità di servizio come ora bensì soprattutto sul merito professionale, accertato con valutazioni articolate con frequenza triennale anche al fine di comportare, in relazione alla progressione di funzioni esercitate, più accentuati livelli di mobilità: con valutazioni effettuate dai capi degli uffici. Norme altresì che, quanto agli avanzamenti, prevedano che essi siano disposti dal Csm su proposta di una commissione interna che, a differenza dell’attuale, veda la parità tra membri togati e non togati.

Una sinistra di governo dovrebbe lanciare una consultazione aperta nell’ANM su questi temi, e proporre una convenzione nazionale bipartisan alla maggioranza per la riforma degli articoli della Costituzione da ritoccare, nonchè per la definizione delle due-tre leggi di maggior implicazione per la loro attuazione: non una bicameralina, ma un lavoro preparatorio di un anno per avviare poi le riforme nei 3 anni che restano della legislatura: ma senza lasciare alla maggioranza l’iniziativa né limitarsi a giocare di rimessa.

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