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→  dicembre 22, 2013


Recensione a
La fin du rêve Européen
François Heisbourg
ediz. Stock, pagg. 194


Non vuole essere confuso con gli eurofobi di destra e di sinistra. Ha votato sì a tutti i referendum europei. È federalista convinto. François Heisbourg, presidente dell’International Institute for Strategic Studies di Ginevra, lo dice chiaro: Fin du rêve Européen, titolo del suo ultimo libro, non è un auspicio, è una constatazione.

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→  ottobre 25, 2013


Il Senato ha approvato una mozione che impegna il Governo a modificare la legge sull’Opa obbligatoria. Oggi scatta se un investitore raggiunge una quota del 30%; secondo la proposta, se si accerta un nuovo controllo di fatto. Che si tratti di una norma ritagliata su Telecom Italia è evidente, e i proponenti, Massimo Mucchetti del Pd e Altero Matteoli del Pdl, non ne fanno mistero. Telecom è controllata da Telco con il 22,4%; se Telefonica, che ha il 46,8% di Telco, ne diventa azionista di maggioranza, prende il controllo di Telecom stando sotto il 30%. Con la legge attuale non è obbligata all’Opa; Mucchetti vuole obbligarla a farla.

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→  ottobre 21, 2013


I debiti eccessivi, si sente dire, che siano conseguenza di scalate a debito, o che siano il risultato di fusioni con partner indebitati, pregiudicano il futuro dell’azienda. Le aziende, si sente pure dire, in cui la struttura proprietaria è congegnata in modo da consentire il controllo a una minoranza, tendono a essere meno efficienti di quelle dove ogni azione dà diritto a un voto: la scatole cinesi sono da evitare.

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→  ottobre 8, 2013


Le privatizzazioni sono ancora argomento divisivo. Le vicende Alitalia e Telecom sono state occasione di riaprire la discussione, per alcuni sul modo in cui si è privatizzato, per gli irriducibili sul fatto stesso di avere privatizzato. Eppure son passati più di vent’anni. Vuol dire che la vicenda tocca questioni di fondo, il ruolo dello stato nell’economia, il rapporto tra politica e industria, la struttura del nostro capitalismo. Quando abbiamo privatizzato, si parlava di debito da ridurre, di base industriale e finanziaria da ampliare, di più ampi orizzonti strategici e di maggiore efficienza gestionale da dare ai campioni nazionali. L’uscita dello Stato dalla gestione diretta di attività economiche pareva una conseguenza: ne è la ragione prima.

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→  settembre 25, 2013


Le alternative

Non è giunta come una sorpresa l’offerta di Telefonica di aumentare la propria quota in Telco, diventandone il primo azionista: non è che un’azienda compera il 40% del controllo di un suo concorrente e poi resta ferma per sempre. Ma quando sui giornali gli articoli sulla Telecom contendono lo spazio a quelle su Alitalia, e pochi giorni prima a quelli sulle aziende a partecipazione pubblica o dei rami di azienda che il governo Letta intende mettere in vendita, allora è impossibile non vedere il filo rosso che unisce tutti questi avvenimenti: stiamo assistendo a un ulteriore capitolo del processo di privatizzazioni. E allora è impossibile resistere alla tentazione di autocitarsi: dopo 22 anni, conto sulla prescrizione. “Perché non fare un inventario di tutte le aziende o rami d’azienda [interne ai macrosettori delle PPSS] che potrebbero essere convenientemente isolate e vantaggiosamente vendute?” Era il luglio del 1992, lo scrivevo sul Sole24Ore, che, con efficace enfasi, aveva titolato il mio pezzo “Vendiamo i bonsai di Stato”. In USA si stava dimostrando quanta efficienza economica ci fosse da guadagnare e quanto valore finanziario da estrarre smontando le conglomerate. Da noi c’era una ragione in più per farlo, noi avevamo bisogno di creare un mercato là dove non c’era: le privatizzazioni non potevano ridursi a un passaggio di proprietà, dal pubblico al privato. Nelle Partecipazioni Statali si erano formate aggregazioni che non rispondevano a logiche di mercato, erano state fatte per accrescere il potere, per salvare aziende, per occupare persone: quei legami andavano smontati.

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→  settembre 13, 2013


La notizia cattiva è che Lehman è fallita, quella buona è che lo Stato non è intervenuto per salvarla: fummo in pochi a pensarla così, quel 15 settembre di cinque anni fa. Poi, quando il Dow Jones arrivò a perdere il 43%, nella sola America si volatilizzarono 6,3 milioni di posti di lavoro, e il Pil Usa scese del 3%, le critiche da pioggia diventarono grandinata. Chi aveva ragione? A cinque anni di distanza, credo che quel giudizio fosse giusto: è stato un bene lasciar fallire Lehman, anche se non solo, e forse neppure principalmente, per i motivi cari ai pochi che lo espressero.

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